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PIERCAMILLO DAVIGO EX MAGISTRATO
Ancora una condanna per Piercamillo Davigo. La corte di appello di Brescia, seconda sezione penale, ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Brescia il 20 giugno 2023 e lo ha condannato al pagamento delle ulteriori spese processuali e alla rifusione delle spese di assistenza in giudizio in favore della parte civile. Si tratta dello stralcio del processo, relativo alla rivelazione del segreto per aver diffuso i verbali di Piero Amara, per il quale la Corte di Cassazione, il 4 dicembre scorso, aveva disposto l’appello bis per l’ex pm di Mani Pulite.
La Suprema Corte, in quella stessa data, aveva poi dichiarato la irrevocabilità della condanna limitatamente al primo capoverso del capo B, «poiché, quale consigliere del Csm, ricevuta una proposta di incontro privato da parte del dr Paolo Storari», titolare dell’inchiesta sul falso complotto Eni, nel quale l’ex avvocato esterno della società Piero Amara aveva rilasciato dichiarazioni sulla presunta Loggia Ungheria, «rassicurandolo di essere autorizzato a ricevere copia degli atti indicati al capo sopra riportato e riferendogli che il segreto investigativo su di essi non era a lui opponibile in quanto componente del Csm» entrava in possesso di atti coperti da segreto investigativo, «al di fuori di una procedura formale».
Il nuovo processo, disposto per la parte relativa alla rivelazione a terzi dei verbali, ha dunque confermato la condanna ad un anno e due mesi inflitta precedentemente. Nelle motivazioni, la Cassazione aveva usato parole durissime nei confronti dell’ex magistrato: Davigo, scrivevano i giudici del Palazzaccio, era consapevole «del corretto percorso istituzionale da suggerire a Storari per superare la situazione di stallo che questi ebbe a rappresentargli prima di procedere alla rivelazione del segreto». E date le cautele imposte dalla presenza di notizie segrete e il non complicato regolamento del Consiglio superiore della magistratura sulla gestione di materiale simile, i giudici di merito hanno agito «correttamente» nel condannarlo per rivelazione, dato anche lo «spessore professionale del ricorrente e delle sue specifiche competenze acquisite nel tempo anche sul piano ordinamentale».
Davigo, anziché suggerire al collega Paolo Storari - che si rivolse a lui a causa della presunta inerzia della procura di Milano sulle dichiarazioni di Amara - di seguire le vie formali, a lui ben note, sottolineano i giudici di Cassazione, diede la disponibilità di sottoporre la questione al Csm e successivamente invitò diversi consiglieri di Palazzo Bachelet a prendere le distanze dall’ex amico Sebastiano Ardita (parte civile nel processo, difeso dall’avvocato Fabio Repici), inserito in maniera falsa nella lista dei componenti della presunta Loggia.
E Davigo non si limitò a parlarne con i membri del Comitato di Presidenza, ma informò diversi membri del Csm, le sue segretarie e l’ex presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, in virtù del presunto coinvolgimento di Ardita nell’ipotetica Loggia. La scelta di bypassare le procedure previste, per i giudici, fu «del tutto personale e marcatamente arbitraria», attivando «consapevolmente», per ragioni di evidente gratuità rispetto all'importanza dei temi in gioco», un percorso «alternativo per forza di cose destinato a mettere in pericolo la riservatezza della notizia coperta dal segreto investigativo».


