Altro che mole richieste di rinvio a giudizio inevase e richieste di archiviazione rimaste a marcire negli uffici giudiziari milanesi. Dopo gli attacchi a mezzo stampa subiti, l'ex Gip milanese Guido Salvini - in pensione dal dicembre scorso - prende carta e penna e fornisce i suoi dati con una lettera indirizzata al Consiglio giudiziario del suo distretto, che pochi giorni fa aveva inviato al Csm una delibera per comunicare una variazione tabellare adottata dall'Ufficio Gip con l'obiettivo di spalmare su tutti i giudici milanesi gli «affari trascurati, in alcuni casi da tempo» dal magistrato in pensione: 297 richieste di rinvio a giudizio, 900 richieste di archiviazione e 90 opposizioni ad archiviazioni. Numeri apparentemente impressionanti, tempestivamente riportati dal Corriere della Sera.

Probabilmente, però, il più importante quotidiano del Paese non ha avuto modo di leggere la versione di Guido Salvini, depositata e messa agli atti del Consiglio giudiziario ieri (e inviata al Csm dal presidente della Corte d'Appello, Giuseppe Ondei, come formale seguito della pratica già spedita), in cui l'ex magistrato fornisce le sue «riflessioni e precisazioni a tutela del mio onore e della mia reputazione personale». Salvini inizia la sua ricostruzione con una premessa di natura statistica che da sola basterebbe ad annullare immediatamente il livello di clamore mediatico sulle sue presunte negligenze: al giugno 2023, nell'intero ufficio Gip-Gup, erano «pendenti quasi 22 mila processi solo nei confronti di soggetti noti e altri 31.580 nei confronti di ignoti, per un totale di oltre 53 mila processi». Altro che arretrati di Salvini!

Poi l'ex magistrato entra nel merito delle sue azioni. «Nell’ultimo anno di lavoro l’obiettivo non è la statistica, ma sgombrare l’ufficio dai grossi processi che possono essere un ostacolo per chi ti segue, che comportano conoscenze pregresse, quelli per cui bisogna spremersi il cervello e scrivere sentenze di centinaia di pagine. Ed è esattamente quello che ho fatto», scrive l'ex magistrato, prima di elencare i grandi casi chiusi e “portati a casa” negli ultimi mesi del suo lavoro. Come il processo sulla cosca calabrese Aquilano, “ereditato” da un altro collega: 25 faldoni e decine di imputati in giudizio abbreviato.

«Ho chiuso il processo Aquilano in pochi mesi e senza nessun esonero e dedicato l’intera estate, senza darmi nemmeno un giorno di sosta, a scrivere una sentenza di 350 pagine», dice Salvini. E ancora, il processo Loggia Ungheria, arrivato ad agosto, quattro mesi prima del suo addio alla toga: altri 20 faldoni, con 65 persone offese di cui 40 magistrati, in un clima di veleni e scontri all'interno della Procura milanese. «Nonostante i numerosi ostacoli tecnico-processuali e le numerose eccezioni, sono uscito a concluderlo in fotofinish a soli cinque giorni dalla pensione. Un risultato non da poco». Due maxi processi di questo tipo, costituiti da decine di faldoni ciascuno, «valgono 90-100 piccoli processi ordinari, esattamente la differenza che porta la mia pendenza finale a normalità», sottolinea Salvini. Non solo, tra gli altri casi di alto rilevo, conclusi dall'ex magistrato prima di appendere la toga al chiodo, figurano: le violenze degli ultrà interisti, il processo nei confronti dell'ex procuratore di Aosta Pasquale Longarini, le azioni violente dei “trapper” e il cosiddetto processo dei “commercialisti della Lega” nella Film Commission.

«Ho lasciato l’Ufficio senza nessuna sentenza fuori termine e soprattutto senza nessuna misura cautelare inevasa. Tutte spazzate via», argomenta ancora Salvini. «Addirittura una misura cautelare arrivata il 24 novembre 2023, a 20 giorni dalla pensione, per un racket di permessi di soggiorno irregolari organizzato da egiziani, è stata redatta subito. Il pm era addirittura sorpreso del fatto che fossi riuscito a farla». E sulle 900 archiviazioni pendenti riportate dalla stampa? «Sono state da me regolarmente esaminate e firmate prima del congedo. Semplicemente l’ufficio archiviazioni, per la mancanza di personale, ad oggi non le ha registrate. La circostanza avrebbe dovuto essere correttamente controllata prima di collocare questa falsa pendenza in provvedimenti interni e anche a tal fine sarebbe stata utile una interlocuzione con me», spiega l'ex magistrato nella lettera inviata al Consiglio.

Salvini è sicuro di aver lasciato «un'autostrada sgombra» a chi avrebbe preso il suo posto. «Quello che era rimasto era di scarso impegno qualitativo, un ruolo più che accettabile, non una preoccupazione per chi mi seguiva: fatti minori e non più attuali quali tensioni familiari per fortuna risolte, moltissimi, credo una novantina, comunque improcedibili in base alla legge Cartabia per l’irreperibilità e la mancata conoscenza da parte dell’imputato, quindi solo numeri ottimi per aumentare la statistica di chi mi seguiva». Sui processi non fissati, invece, «faccio notare che se si ha dinanzi a sé anni di permanenza in un ufficio è logico fissare le udienze e i processi anche avanti nel tempo. Per me invece con una data certa in cui lasciare la Sezione, l’11 dicembre 2023, la situazione era del tutto diversa. A ragion veduta ho fissato le udienze sino alla primavera 2024, e cioè sino ad una ragionevole fase di transizione con chi subentrava, sospendendo ogni fissazione più avanti». E ancora: «Sembra di capire dagli articoli del Corriere, non so se fedeli ai provvedimenti interni visto che il giornalista ne dispone e io no, che non fosse stato approntato il previsto elenco delle pendenze al termine del lavoro. Questo è semplicemente un falso». L’elenco, si inalbera Salvini, è stato regolarmente trasmesso l’11 dicembre alla fine del servizio.

Ma la cartina di tornasole del lavoro dell'ex magistrato è una: l'assenza di lamentele o di solleciti da parte di pm e avvocati, inevitabili in caso di mancanze da parte di Salvini. «Sfido chiunque a trovarne solo uno, anzi ho sempre avuto un apprezzamento generale e diffuso nel Palazzo tanto che moltissimi avvocati, com’è avvenuto ad esempio nel processo sulla cosca Aquilano, chiedevano il giudizio abbreviato che si basa sulla fiducia nel giudice ma comporta un enorme aumento dell’impegno sul piano qualitativo». E a quanto pare, nessun reclamo è arrivato alle orecchie di qualcuno, men che meno sulle scrivanie.

Insomma, alla luce di queste precisazioni, accolte dal Consiglio giudiziario, il “caso Salvini” sembra sgonfiarsi clamorosamente. Anzi, forse, a ben guardare, è un caso che potrebbe non essere mai esistito.