«L’uomo giusto al posto giusto». Così Giorgia Meloni ha definito Carlo Nordio, l’ex toga che la presidente del Consiglio ha voluto fortemente a via Arenula, senza accettare compromessi. Un magistrato diventato politico – «ormai mi sento anche un politico e faccio parte di un governo con il quale mi sento anche in sintonia», ha dichiarato domenica sera a “Che tempo che fa” – in grado di fare da scudo di fronte a qualsiasi polemica.

Dal caso Delmastro-Donzelli al pasticcio Uss, passando per il caso Cospito, a Nordio è toccato mettere da parte il piglio del garantista senza se e senza ma per abbracciare la ragion politica, esponendosi in prima linea fino a sacrificare parte delle proprie convinzioni. Una missione che si è tradotta, in queste ultime ore, nella difesa del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, inciampato in discorsi sul rischio di «sostituzione etnica»: affermazioni che, ha detto il guardasigilli sempre nell’intervista a Fabio Fazio, «non corrispondono al mio modo di esprimermi ma non sono peccati mortali», e possono essere spiegati con «l’emotività» e «la tensione polemica».

Una “protezione” a tutto tondo dei componenti di governo e maggioranza che non di rado impone, appunto, piccoli passi indietro rispetto a quanto Nordio ha messo nero su bianco nei suoi stessi libri prima di varcare le porte di via Arenula. Così, se è vero che «inasprire le pene e creare nuovi reati non serve a nulla», come affermato dal ministro nel suo libro “Giustizia”, ciò non toglie che, nella logica del guardasigilli, si possa agire proprio in tal senso – ovvero inasprendo le pene – per dare un segnale «politico». Ciò perché, ha spiegato in collegamento con il programma di Fazio, nonostante «il segnale della legge penale» non abbia «un significato di deterrenza», nel senso che una legge più dura non «interrompe» né «elimina», per rimanere ancorati all’attualità, l’immigrazione clandestina, ciò che arriva è «un segnale politico». Ovvero il messaggio che «il governo è attento al traffico» di esseri umani.

Un segnale rivolto all’elettorato – «serve a dimostrare che siamo attenti al fenomeno» – dunque, anche se a gestire il fenomeno serve poco. D’altronde, stando agli esperti, il decreto Cutro – ispirato anche nel nome a una tragedia che non sarebbe stata scongiurata, qualora il provvedimento fosse già stato in vigore – non servirà a fermare il fenomeno, ma produrrà soltanto ulteriore clandestinità e, dunque, minore sicurezza.

Ma Nordio non si è limitato alle questioni “filosofiche”, e ha anche scandito la road map delle sue riforme. Serve tempo, ha spiegato, ma un primo pacchetto sarà pronto entro maggio. Si tratta di riforme in «senso garantista», dove garantismo «significa enfatizzare la presunzione di innocenza» e dunque la «necessità di evitare quelle perniciose invasività sulla libertà individuale prima del processo». E non poteva mancare il mantra di Fratelli d’Italia, quella «certezza della pena» tanto cara a Meloni che vuol dire certezza dell’espiazione della condanna una volta accertata la colpevolezza dell’imputato.

L’intento di Nordio, almeno negli annunci, è non ridurre il tutto all’equazione pena uguale carcere. «La pena – ha sottolineato – deve avere un’attitudine rieducativa», dunque è necessario impegnarsi «per fare del carcere uno strumento non di espiazione ma di rieducazione», attraverso sport e lavoro. In questo primo pacchetto rientrerà anche la riforma delle intercettazioni, «mezzo fondamentale oggi per le indagini», cosa sulla quale «nessuno ha mai avuto dubbi», ma il primo intervento andrà nel senso di evitare la pubblicazione di notizie riservate e quelle che riguardano i terzi: «Se Tizio parla con Caio e cita Sempronio – ha sottolineato –, Sempronio è senza difesa» e non può ribattere. Dunque l’obiettivo è evitare che i terzi estranei al processo vengano comunque coinvolti, «con un vulnus terribile per la loro onorabilità e talvolta anche per la loro salute».

La seconda fase è quella che riguarda le riforme costituzionali e, dunque, la separazione delle carriere, ciò che maggiormente contrappone Nordio e i suoi ex colleghi, pronti a dare battaglia in ogni modo per evitare quello che viene definito un tentativo di sottomettere le toghe al potere politico. Riforme che richiedono «tempi più lunghi», date le regole imposte dall’articolo 138 della Costituzione, tra le quali anche i provvedimenti relativi al Csm.

L’ultimo tema affrontato da Nordio è quello delle carceri, a partire dall’altissimo numero di suicidi che ha funestato lo scorso anno. Il problema, secondo il ministro, è «un sistema carcerario obsoleto». Ma la soluzione prospettata non è quella di incentivare le pene alternative al carcere, bensì la costruzione di nuovi istituti penitenziari. E siccome nella pratica ciò è impossibile, «la mia proposta è adattare le caserme militari dismesse, che sono perfettamente compatibili con la sicurezza di un carcere e consentono le due attività fondamentali nella rieducazione del detenuto: spazio aperto, quindi sport, e lavoro». Perché «nulla quanto il lavoro riduce la conflittualità e la tensione, e rieduca», ha concluso il ministro.

Le cui parole non sono piaciute al Pd. «Ancora una volta vengono lanciate a casaccio separazione delle carriere, abolizione di reati, intercettazioni da rivedere, senza che, dopo mesi di proclami, ci sia uno straccio di testo. Ma soprattutto non c'è nulla di quello di cui ci sarebbe davvero bisogno e cioè attuare le "riforme Cartabia" che riguardano per l’appunto l’efficienza della giustizia e la ragionevole durata dei processi: il ministro doveva approvarne i decreti attuativi, nemmeno quello ha fatto – hanno commentato Debora Serracchiani, deputata e responsabile Giustizia del Pd, e i capigruppo in commissione Giustizia di Camera e Senato Federico Gianassi e Alfredo Bazoli –. Anche sull’abuso di ufficio, dopo centinaia di interviste, non è nota la posizione del governo e della sua maggioranza. Quello che è certo, è che i sindaci chiedono una revisione complessiva del sistema delle responsabilità e su questo – hanno rivendicato gli esponenti dem – noi abbiamo presentato tre proposte di legge chiare, che però giacciono a prendere polvere nei cassetti del Parlamento mentre si preferisce strumentalizzare le sacrosante esigenze degli amministratori. Insomma il solito minestrone pieno di contraddizioni, di ambiguità e di velleità».