Il Consiglio di Stato bacchetta nuovamente il Consiglio superiore della magistratura. Colpevole ancora una volta, secondo Palazzo Spada, di voler disattendere le sentenze emesse dai giudici amministrativi, quasi come se Palazzo dei Marescialli fosse un corpo esterno all’alta amministrazione e dunque esentato dall’obbligo di muoversi in coerenza e nel rispetto delle decisioni delle altre istituzioni. La “bocciatura” arriva in questo caso nella sentenza che dà ragione a Paolo Itri, pm della procura antimafia di Napoli: nel 2022, infatti, il Consiglio di Stato aveva annullato la nomina di Cesare Sirignano, che nel 2015 gli era stato preferito per un posto nella procura nazionale antimafia, ma il Csm, a dicembre, aveva rinominato Sirignano, nel frattempo trasferito d'ufficio alla procura di Napoli Nord per incompatibilità e condannato a livello disciplinare in relazione al caso Palamara. Una decisione, quest’ultima, estranea, alla vicenda relativa alla poltrona di via Giulia, che dunque veniva lasciata vuota, pur di non sconfessare la decisione precedentemente presa. Ma come accaduto in altri casi, come quello di Giovanni Bombardieri, i giudici amministrativi hanno sbarrato la strada al Csm, ribadendo i paletti entro cui muoversi. Paletti stabiliti dal Testo unico della dirigenza giudiziaria, troppo spesso “sposati” a seconda della situazione. La polemica è sempre la stessa: il Csm ha il potere di agire in modo “politico”, sulla base della propria autonomia? O i criteri fissati - dagli stessi magistrati sono un limite invalicabile? Il Consiglio di Stato ha ora dato 60 giorni di tempo al Csm per eseguire la sentenza. E sulla nuova decisione si abbatte anche l’annullamento, da parte del Tar del Lazio, del trasferimento di Sirignano, che complica la partita.

La nuova nomina di Sirignano, effettuata dalla precedente consiliatura, aveva diviso il plenum: la proposta favorevole al magistrato napoletano era passata con soli due voti di scarto e forti polemiche per la «mancanza di coerenza» del Consiglio, pronto a punire Sirignano per le sue chat con l’ex zar delle nomine e a premiarlo in altra sede con una scelta «immotivata», secondo coloro che, all’epoca, votarono contro. Ed oggi è Palazzo Spada ad affondare il colpo, sottolineando «il carattere elusivo della nuova nomina rispetto al vincolo conformativo derivante dal medesimo giudicato».

Secondo il Consiglio di Stato, il Csm «si è sottratto» alle indicazioni, evitando di svolgere «l’apprezzamento specifico impostole dal giudicato» e azzardando «valutazioni avulse dai presupposti in valutazione, riferite ad elementi non rilevanti ai fini della procedura di assegnazione all’ufficio requirente a concorso». Facendo una cosa strana: ad essere rivalutato, infatti, non era stato il curriculum di Itri, non adeguatamente considerato, ma quello di Sirignano, che pure nulla aveva avuto da ridire sul punteggio assegnato e non era oggetto del giudizio. Per Palazzo Spada, «emerge dunque la volontà del medesimo organo di autogoverno di eludere il giudicato». Ma c’è di più: il Csm avrebbe utilizzato strumentalmente il giudicato di annullamento «come occasione per rimettere in discussione profili dell’atto con esso annullato che tuttavia dovevano rimanere intangibili, perché non oggetto delle censure accolte, in chiave comparativa rispetto al profilo di carriera del ricorrente vittorioso. Ne è derivata la vanificazione dell’utilità ottenuta da quest’ultimo e la conferma del risultato accertato come illegittimo nel giudizio di cognizione».

Ed un ulteriore sintomo di volontà elusiva, secondo i giudici, si rintraccerebbe nel fatto che nei confronti di Itri è stato ritenuto operante uno sbarramento di punteggio derivante da una precedente procedura di assegnazione di posti di sostituto procuratore presso la Dna, che nulla aveva a che vedere con il caso in questione. Un modus operandi che si porrebbe «in contraddizione con il principio di autonomia che regge ogni valutazione di carriera cui sono sottoposti i magistrati ordinari, e con la sottesa esigenza di evitare che il percorso di carriera dei magistrati sia rigidamente scandito sulla base di precedenti vincolanti, in sede di riesercizio del potere dopo il giudicato di annullamento è stato introdotto un limite da esso non derivante, ma avente la funzione di limitarne l’effetto conformativo, con conseguente sua elusione». La decisione di dicembre è costata al Csm anche 4mila euro, oltre agli accessori di legge, per pagare le spese di causa di Itri. «L’ennesima dimostrazione del consueto Lauto Governo - ha commentato il togato indipendente Andrea Mirenda -, allergico alle regole e persino agli autovincoli, disinvoltamente e dolosamente autoreferenziale, sordo verso ogni controllo di legalità. Inevitabile il parallelo col Marchese del Grillo: io só io, voi non siete …”».