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Per Amanda Knox è stata confermata la condanna a tre anni (comunque già scontati) per avere calunniato Patrick Lumumba nelle prime fasi delle indagini sull’omicidio di Meredith Kercher coinvolgendolo nel delitto per il quale è stato poi prosciolto essendo risultato completamente estraneo. Lo ha deciso la Corte d’assise d’appello di Firenze. Knox, alla lettura della sentenza, a cui ha assistito con accanto il marito e i suoi difensori, è scoppiata a piangere.
La condanna per calunnia era diventata definitiva, ma poi la Cassazione ha disposto un nuovo esame delle accuse dopo che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo nel 2019 aveva ravvisato nel processo a carico della Knox per calunnia verso Patrick Lumumba alcune violazioni della Convenzione, in particolare degli articoli 3 e 6. La ragazza era vulnerabile, aveva solo 20 anni, scarsa conoscenza della lingua italiana e si trovava da poco in Italia.
Quello che avvenne nella Questura di Perugia quel 6 novembre 2007 - l’assenza di un difensore, la mancanza di una assistenza linguistica di qualità, l’assenza di riposo, il prolungarsi dell’interrogatorio, l’ora notturna, il numero di poliziotti coinvolti e le modalità aggressive dell’esame - ha determinato uno stato di prostrazione e di condizionamento insopportabile nei suoi confronti. Tuttavia la Cassazione aveva chiarito che il giudice non avrebbe potuto utilizzare le dichiarazioni rese da Amanda Knox nel corso dei ripetuti interrogatori condotti in violazione delle garanzie sancite dalla Cedu: è stato infatti chiamato solo a verificare se il memoriale scritto da Amanda nella sua cella dopo l’arresto conteneva dichiarazioni calunniose e se era di per sé sufficiente a fondare una condanna.
«Non avrei mai testimoniato contro Patrick, come invece la polizia voleva. Non sapevo chi era l'assassino. Patrick non era solo il mio capo al lavoro ma anche mio amico. Non avevo interesse ad accusare un amico innocente. Patrick mi ha insegnato a parlare l'italiano, si è preso cura di me. Prima dell'arresto, mi consolò per la perdita della mia amica. Mi dispiace di non essere stata così forte di resistere alle pressioni della polizia e che lui ne abbia sofferto»: così ha sostenuto Knox in una dichiarazione spontanea prima che la Corte di Firenze si ritirasse in camera di consiglio. «Chiedo umilmente di dichiararmi innocente», aveva concluso. Di se stessa nelle ore passate in questura ha parlato come di una ventenne «spaventata e ingannata».
La 36enne è arrivata presto in aula accompagnata dal marito Christopher. Ha atteso l’inizio dell’udienza sui banchi della difesa parlottando con lui e i suoi difensori, gli avvocati Carlo Dalla Vedova e Luca Luparia Donati. A Firenze si è rivista la folla di giornalisti e teleoperatori che aveva caratterizzato i processi perugini. Soprattutto cronisti e troupe inglesi e americane.
«Amanda Knox non è una vittima della giustizia ma una calunniatrice», ha detto l’avvocato Carlo Pacelli, difensore di Patrick Lumumba. «Leggeremo le motivazioni e poi impugneremo la sentenza in Cassazione. Quasi certamente quello che giudichiamo un errore giudiziario dovrà essere sanato. Anche il tema del computo della pena dovremo verificarlo. Non ci aspettavamo questo tipo di risposta giudiziale e ci sembrava che la decisione dovesse andare verso l’innocenza, e anche le sue dichiarazioni di oggi confermavano che il reato era insussistente», così, invece, i legali della giovane donna al termine dell’udienza che hanno aggiunto: «Amanda è molto amareggiata, pensava di mettere un punto dopo tutti questi anni».