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Processo a Filippo Turetta per l'omicidio di Giulia Cecchettin. Nella foto l'avvocato Giovanni Caruso
L’omicidio di Giulia Cecchettin è stato «efferato», ma «non c’è l’aggravante della crudeltà». Né della premeditazione e dello stalking. È questa la linea sostenuta dalla difesa di Filippo Turetta, accusato di omicidio volontario aggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere dell’ex fidanzata, uccisa l’11 novembre 2023 in un parcheggio a Fossò, in provincia di Venezia.
Dopo la requisitoria del pm Andrea Petroni, che ieri ha chiesto la pena all’ergastolo, oggi la parola è passata agli avvocati del giovane reo confesso, Giovanni Caruso e Monica Cornaviera. I quali chiedono «che vengano ritenute insussistenti le circostanze aggravanti della premeditazione, della crudeltà e degli atti persecutori» e «che siano riconosciute in ogni caso le attenuanti generiche». Che potrebbero evitare l’ergastolo a Turetta, se la richiesta fosse accolta. La Corte dovrà valutare se l’imputato «merita il riconoscimento, e non la concessione, delle attenuanti generiche - spiegano i legali - e se eventualmente meritino di essere soppesate ammesso e non concesso in termini di equivalenza e subvalenza».
La difesa, che ha scartato l’opzione della perizia psichiatrica, prova dunque a ribaltare la tesi dell’accusa, che ha parlato di «premeditazione certa, da caso di scuola». Secondo gli avvocati del giovane, infatti, la lista con le cose da comprare e le azioni da svolgere compilata il 7 novembre 2023 da Turetta, non proverebbe affatto che il delitto sia stato premeditato. Tutto il contrario. «Se c'è uno che non sa premeditare alcunché è Filippo Turetta», argomenta nella sua arringa Caruso, per il quale «la preordinazione non è sufficiente per la premeditazione». L’elenco, secondo la difesa, avrebbe avuto lo scopo «di rapire» la studentessa ventiduenne per farle cambiare idea e riprendere la relazione, come dimostrerebbero alcuni brani, riletti in aula, dei verbali di interrogatorio e del memoriale in cui Turetta afferma che il suo intento era quello di sequestrare Cecchettin. «Nel caso di Turetta c’è un’intermittenza insanabile che non radica il proposito criminoso», spiega l’avvocato facendo riferimento ai dubbi del suo assistito.
Un altro nodo fondamentale riguarda l’aggravante della crudeltà, racchiusa nelle 75 coltellate inflitte alla vittima, le cui «lesioni - aveva sottolineato il pm - mostrano l’evidenza di una particolare brutalità». In quello scenario di ossessione, paura, «manipolazione» e violenza fisica delineato dall’accusa. «Turetta era letteralmente ossessionato da Giulia, penso che nessuno possa negarlo. Aveva un comportamento petulante e insistente, oserei dire insopportabile, nell’ultima parte della loro relazione», argomenta il legale. «Filippo era ossessionato, lo abbiamo capito, ma non c’è l’aggravante. Ha provato quello che tutti provano dalla notte dei tempi, la sofferenza delle relazioni, e la vive in maniera quasi patologica: è un ragazzino non all’altezza di gestire le proprie emozioni», prosegue la difesa, ricordando che la crudeltà non è legata al numero dei colpi.
«Tutti gli elementi - si sostiene nell’arringa - comprovano che si è trattato di un’aggressione a cortocircuito», dal momento che l’imputato «ha agito in preda all’emotività, in uno stato di un'alterazione emotiva, con concitazione». Turetta sferra «colpi alla cieca, non si ricorda quanti ne ha dati e dove li ha dati. Due sono i colpi mortali perché in profondità». E «la crudeltà è incompatibile con le alterazioni emotive della condotta», conclude sul punto la difesa, escludendo anche l’aggravante degli atti persecutori, che necessita di «uno stato d'ansia e paura perdurante e grave».
Nella ricostruzione dei legali, invece, Giulia Cecchettin «non cambia le sue abitudini di vita», e non ha paura. «Se avesse avuto paura per la sua incolumità avrebbe dato appuntamento lei al suo futuro omicidio il giorno 11 novembre 2023? Se ha paura non si fa accompagnare dalla amiche? Giulia non ha paura di Filippo Turetta».
Al termine delle loro arringhe, gli avvocati non hanno quantificato la pena che comunque, a loro avviso, non può essere quella del carcere a vita. «Davvero credete che voglia evitare l’ergastolo? Dico una cosa un po’ triste, ma l’unico ambiente in cui Filippo Turetta può incrociare umanità ed essere considerato un essere umano sono i compagni di cella perché vivono di una umanità compromessa», dice l’avvocato Caruso a proposito del suo assistito, ristretto nel carcere Montorio di Verona.
«L’ergastolo è da molto tempo ritenuto una pena inumana e degradante, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. L’ergastolo è il tributo che lo Stato di diritto paga alla pena vendicativa, a chi ritiene che Turetta debba essere messo in carcere e vada buttata via la chiave», argomenta il legale. Che poi si rivolge direttamente ai giudici che emetteranno la sentenza attesa il 3 dicembre: «È il principio di legalità che mi ispira oggi, voi siete chiamati a pronunciare non una sentenza giusta, ma dovrete pronunciare una sentenza secondo legalità. Non secondo la legge del taglione».