Quel che ha colpito di più, nella conferenza stampa del dottor Nicola Gratteri in seguito al blitz del 7 settembre, quello che potrebbe essere il suo ultimo da procuratore di Catanzaro, sono state le sue parole di vanto per aver risolto il caso di un orribile delitto di sette anni fa. Maria Chindamo, imprenditrice agricola di Laureana di Borrello, era scomparsa il 6 maggio 2016 nelle campagne di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia.

Il procuratore Gratteri, proprio alla vigilia della sua possibile “promozione” a capo del prestigioso ufficio di Napoli (la riunione del Csm che dovrebbe decretarla è in programma per domani), racconta con tono sicuro come lui e i suoi uomini hanno risolto il caso. “La donna è stata punita per la recente relazione sentimentale dalla stessa instaurata, venuta alla luce con la prima uscita pubblica della coppia appena due giorni prima dell’omicidio, oltre che per l’interesse all’accaparramento del terreno su cui insiste l’azienda agricola divenuta nel frattempo di proprietà esclusiva della Chindamo e dei figli minori”. Seguono particolari “raccapriccianti” (secondo il racconto dei cronisti e del nostro Antonio Alizzi) sul corpo della vittima dato in pasto ai maiali dopo che le ossa erano state triturate con la fresa di un trattore.

Questa notizia e il suo tragico caso “risolto” ha avuto la meglio in generale nei titoli dei giornali, sul fatto che anche questa volta, insieme a presunti boss e picciotti, la retata ha coinvolto la solita altrettanto presunta “area grigia” di politici e avvocati. Perché in questa occasione il procuratore di Catanzaro ha voluto sottolineare – proprio nei giorni in cui più tragico è l’allarme per i femminicidi con cui uomini più capaci di odio che di amore puniscono le donne dopo l’abbandono – la tragedia di una donna la cui emancipazione, dopo il suicidio del marito, non veniva perdonata.

Caspita, che storia. E che bravi gli investigatori ad averla risolta, se pure sette anni dopo i fatti. Un dubbio però viene alla mente – oltre a quello “secondario”, per cui non ci sono stati ancora processi né condanne, visto che siamo sempre alla fase delle indagini preliminari: ma questa storia, presentata con così tanta enfasi, non l’abbiamo già sentita? E il nome del “pentito” da cui ha origine, Emanuele Mancuso, non ci era forse già noto? E l’uomo arrestato come sospetto omicida, Salvatore Ascone, detto “u pinnularo”, non l’abbiamo già visto in manette?

Un po’ di memoria degli amici calabresi dell’associazione “RiformaGiustizia” e un po’ di archivio, e voilà. Anche noi qui a risolvere un altro tipo di “caso”. Ecco il Corriere della Sera dell’11 luglio del 2019 e la firma del giornalista Carlo Macrì, che giustamente ne fa menzione nella sua cronaca del 7 settembre scorso. Titolo: “Maria Chindamo? Uccisa, triturata e data in pasto ai maiali”. Sommario: “Le ammissioni di un pentito sulla fine dell’imprenditrice agricola scomparsa nel maggio 2016 a Vibo Valentia davanti alla sua azienda. Punita per non aver voluto cedere i suoi terreni”. Si racconta tutta la storia del suicidio del marito, del fatto che l’imprenditrice avesse un nuovo compagno, ma si sottolinea soprattutto l’avidità del presunto assassino nei confronti delle terre che Maria Chindamo non voleva cedere.

L’emancipazione della donna e l’omicidio come punizione “morale” saranno sottolineati solo quattro anni dopo nella conferenza stampa del procuratore Gratteri. Non ci sono risparmiati però, nello stesso identico modo, i particolari “raccapriccianti” su ossa triturate e il corpo della donna dato in pasto ai maiali. Ecco, questa non è la storia di un caso risolto, ma di manipolazione dell’opinione pubblica. Uno dei tanti.