Eccolo lì il biglietto da visita di Nicola Gratteri per il posto di capo della Procura di Napoli, la più grande d’Europa. Prima ancora che si debba passare al pallottoliere per contare i voti di corrente del Csm, ecco il blitz, il suo vero sempiterno passe-partout. Una vagonata di arresti, 84 per la cronaca, e le solite immagini dei carabinieri, ormai più vanitosi degli stessi pm, che corrono con le sirene che urlano all’alba. Perché Nicola Gratteri, 64 anni, capo della Dda di Catanzaro, è uomo d’azione, quello che sa e conosce, al contrario del legislatore il quale, lui lo ripete a ogni intervista, non capisce niente perché è fatto di gente che non ha mai lavorato.

Le regole? Be’, intanto con l’operazione “Maestrale-Carthago” (un po’ di picciotti e poi, sempre, gli “insospettabili” politici e avvocati, utili ai titoloni), è stata prima di tutto infranta la legge Cartabia. Quella approvata nei mesi scorsi dal Parlamento in esecuzione di una direttiva europea che vieta, tra l’altro, per il rispetto dei cittadini, di attribuire nomignoli “creativi” e offensivi alle inchieste. Bisognerà attendere, ma forse qualcuno gli ha consigliato prudenza, per vedere se nella prossima conferenza stampa il procuratore Gratteri darà luogo a un’altra violazione di regole, quelle che evoca l’articolo 27 della Costituzione. Perché da quando sono entrate in vigore le norme volute dalla ministra che lui ha sempre criticato, Marta Cartabia, sulla presunzione di non colpevolezza, il procuratore calabrese si esibisce con sarcasmo: oggi abbiamo arrestato 84 presunti innocenti, butta lì.  E ride. Ma non ridono i giudici del Riesame e soprattutto della Corte di Cassazione, che regolarmente dimezzano i provvedimenti cautelari da lui richiesti, e ottenuti da ordinanze fotocopia, per irregolarità procedurali. Sicuramente per il dottor Gratteri la forma non coincide con la sostanza. Ma sempre il fine giustifica il mezzo.

Così per capire il personaggio che, sulla spinta del grande impulso politico di Marco Travaglio e del Fatto quotidiano, sta correndo sulla via che dovrebbe portarlo da Catanzaro a Napoli, cominciamo col puntualizzare il grande equivoco dell’uomo puro e libero da schieramenti e condizionamenti correntizi. Non è così. Quando ce n’è stato bisogno, Nicola Gratteri ha ritenuto di rivolgersi a Luca Palamara. Era l’estate del 2018, molto calda per un conflitto perenne tra il magistrato e il suo superiore di grado, il procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini. Questi rimproverava al primo una certa insubordinazione e insofferenza a regole e gerarchie. Nicola Gratteri rispondeva aggrappandosi a un’intervista in cui il pg definiva come “evanescenti” certe sue inchieste. Gli appuntamenti al Csm erano fissati per Lupacchini il 25 luglio alle 14 e per Gratteri il 26 alle 11.40. Alle 8.10 del secondo giorno, dopo la deposizione del primo, ma precedentemente a quella del secondo, ecco l’incontro al bar “Il Cigno” di viale Parioli tra Palamara e il procuratore libero da correnti e raccomandazioni. Palamara era in quel momento il potente membro di quel Csm che passerà alla storia. Era anche quello che liquidava Gratteri con definizioni sbrigative, eppure accetterà di incontrarlo dopo l’audizione di Lupacchini al Csm. Forse un caffè tra compaesani calabresi, o forse altro. Strano rapporto, quello tra il puro e l’impuro.

Il puro sa muoversi bene anche nei suoi processi. Forse al Csm potrebbe interessare il fatto che, prima di iniziare il processo “Rinascita Scott”, il capolavoro con oltre 300 imputati che dovrebbe innalzare Gratteri fino all’Olimpo della magistratura, il procuratore fece un gesto inconsueto, la ricusazione nei confronti della presidente del Tribunale giudicante Tiziana Macrì. Di solito non succede, le astensioni per incompatibilità vengono sollevate dai difensori degli imputati. Il motivo tecnico c’era, anche se di secondo piano, e la Corte d’appello accolse la richiesta. Ma dopo due mesi, e questo aveva molto innervosito la Procura. Tanto che, nella prima udienza con quella presidente (senza telecamere, perché Macrì è nota per intransigenza e riservatezza), il procuratore Gratteri le aveva gridato “lei stia zitta, adesso finisco di parlare io”, portandola quasi alle lacrime. E sì, perché il procuratore non si era limitato al tono brusco, ma aveva aggiunto un pesante riferimento al fatto che quel ritardo avrebbe “oggettivamente” fatto un favore alla ’ndrangheta, il cui vertice si era riunito per suggerire ai propri adepti di non scegliere il rito abbreviato (alcuni lo avevano già fatto) ma di andare a farsi processare lì, con il rito ordinario. Con quella presidente, sottinteso. Gravissimo. Ma questo è il mondo dei puri.

Ma il pm più scortato d’Italia sta combattendo contro le cosche. Ora, se per caso il Csm, mentre verifica le capacità dei contendenti al ruolo di capo della Procura di Napoli, volesse mettere il naso nel curriculum professionale del dottor Gratteri, be’ troverebbe qualche sorpresina. A partire dai primi anni della sua carriera in Calabria, quale sostituto procuratore di Reggio, e dai suoi blitz di esordio. Partiamo da Platì, comune di tremila abitanti svegliato una mattina del 2003 dal ronzio degli elicotteri e dall’irruzione di centinaia di carabinieri: 150 arresti per associazione mafiosa, tra cui due ex sindaci, dodici ex assessori e il comandante della polizia municipale. Si dirà che il pm ha chiesto e il gip accolto. Certo, ma anni dopo ci sarà assoluzione generale: su 150, solo 8 condannati, di cui 5 per reati lievi.

Vogliamo ricordare tutte le altre inchieste, soprattutto nella Locride, che hanno avuto simile sorte? Da “Sidaro” a “Circolo Formato”, da “Jonica agrumi” a “Asl Siderno”. Molto attive sono le diverse sezioni della Cassazione, soprattutto nell’annullare le misure cautelari. Nel 2016 Nicola Gratteri diventa procuratore capo e dunque vertice della Direzione antimafia di Catanzaro. Ma la sua attività principale si svolge tra il 2018 e il 2019. L’operazione “Stige” vedrà l’impiego di oltre mille carabinieri impegnati a mettere le manette ai polsi di 170 persone. Naturalmente si tratta della “più grande operazione degli ultimi 23 anni”. Ma il primo risultato è deludente: nell’abbreviato l’accusa porta a casa 66 condanne, ma la difesa 24 assoluzioni, confermate nella sostanza in appello. Sarà quasi sempre così.

Ma è il 2019 l’anno del grand blitz che porterà al processo “Rinascita Scott”, arrivato ormai al termine. Nell’attesa che il dottor Gratteri sia celebrato come una semidivinità, il suo cammino è costellato di sconfitte, sui rami laterali del processo principale: “Nemea” con 8 assolti e 7 con pene dimezzate, “Borderland” con 13 assolti su 20. E “Farmabusiness” con l’assoluzione in primo grado (è in corso l’appello) dell’ex presidente del Consiglio regionale Domenico Tallini. E poi “Lande desolate” con il non luogo a procedere per due significativi esponenti del Pd calabrese, Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo, e l’assoluzione dell’ex presidente della Regione, dopo una carriera politica distrutta, Mario Oliverio. In questo caso la Cassazione aveva parlato di “chiaro pregiudizio accusatorio”. Perché il procuratore non ha in questo caso presentato ricorso contro la sentenza che assolveva con la formula ampia “perché il fatto non sussiste”?

Vogliamo citare per ultimo il caso del segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. Ricordate? Operazione “Basso profilo”, rastrellamento con solite centinaia di uomini ed elicotteri. E Cesa, che forse si accingeva a dare la fiducia a un eventuale governo Conte ter, indagato per associazione mafiosa, costretto dalla sua morale politica alle dimissioni. Poi archiviato dal gup.

Ecco i successi del dottor Gratteri, giudicate voi, donne e uomini del Csm. Al di là delle correnti.