Non era stato Daniel Belling a uccidere la moglie Xing Lei Li. E non era stato lui a disfarsi del cadavere della donna di origine cinese (il cui corpo non è mai stato ritrovato) gettandolo dalla nave “Magnifica” durante una crociera lungo il Mediterraneo. L’uomo, cinquantatreenne ingegnere informatico di nazionalità olandese ma trapiantato in Irlanda, qualche giorno fa è stato infatti assolto dai giudici della corte d’Appello di Roma “perché il fatto non sussiste”.

Il giudizio di secondo grado ha così riscritto la storia giudiziaria di un caso controverso che aveva sollevato più di un dubbio all’indomani della condanna dell’unico imputato, in primo grado, a 26 anni di reclusione. «Il giudizio di secondo grado ha ristabilito la verità su un processo indiziario costruito unicamente sulle suggestioni e non sui fatti. La sentenza di primo grado – racconta a Il Dubbio l’avvocato Luigi Conti – era priva della benché minima motivazione logico-giuridica».

La scomparsa

Sarebbe dovuta essere una normale vacanza di famiglia, ma quella crociera lungo le coste del Mediterraneo si è trasformata presto in un incubo per Belling che, dopo la scomparsa della moglie, era stato arrestato all’aeroporto di Ciampino con l’accusa di omicidio e distruzione di cadavere. Secondo gli inquirenti Belling aveva approfittato della vacanza per disfarsi della moglie, facendone sparire poi il cadavere in mare approfittando del buio e dei forti rumori che provocano i motori a poppa.

Una tesi che era stata suffragata dalla mancata denuncia di scomparsa da parte dell’imputato e dalla mancata segnalazione di discesa dalla nave garantito da “Fidelio”, un sofisticato sistema adottato sulle moderne città galleggianti. Una tesi però sempre respinta dall’informatico che durante gli interrogatori aveva più volte raccontato di essere totalmente estraneo alla vicenda: «Non sono un assassino – aveva più volte dichiarato in aula l’imputato – durante il tragitto mia moglie era stanca, anche prima di arrivare a Civitavecchia non voleva continuare la crociera. A Malta siamo rimasti a bordo, siamo andati in piscina, poi abbiamo fatto un giro della nave. Alla tappa successiva mia moglie non ha voluto lasciare la nave e io sono sceso con i bambini per un tour guidato sull’isola. Quando siamo tornati in cabina mia moglie non c’era. Altre volte mia moglie si è allontanata senza spiegazioni per via del suo carattere instabile e irascibile. Una volta è tornata anche in Cina senza avvisare nessuno». Una circostanza, quella della volontà della donna di abbandonare i propri familiari per ricostruirsi una vita, che era stata confermata anche dai servizi sociali irlandesi, che di quella famiglia si erano presi carico dopo una delle fughe della donna.

Il processo

Tra le prove considerate determinanti per l’esito del primo grado di giudizio, la convinzione che il sistema Fidelio (che consente alle compagnie di navigazione, attraverso un sistema di telecamere e di braccialetti, di tenere sempre il conto della salita e della discesa dei passeggeri dalla nave) fosse infallibile. E quel sistema garantiva che la donna scomparsa, dopo essere risalita sulla nave, non ne era più discesa.

La convinzione sull’infallibilità di “Fidelio” era maturata su un documento che Msc Crociere – «appena tre paginette», racconta amaro l’avvocato Conti – aveva inviato alla Corte e in cui si garantiva l’assoluta affidabilità del sistema di controllo. È stato l’esame del responsabile della sicurezza della Msc Magnifica, Leroy Simon, mai sentito durante il primo processo, a smontare questo assunto, elencando dati alla mano, le numerose volte in cui, a causa di un errore umano o di una defaillance tecnica, l’intero sistema aveva fatto cilecca.

Ed era stato lo stesso Leroy poi a raccontare in aula di come il contenuto delle telecamere installate capillarmente sulla nave (che non è mai stata posta sotto sequestro e che era ripartita normalmente da Civitavecchia dopo l’arresto dell’imputato) non era mai stato visionato dalla polizia di frontiera.

Una storia complicata quella della scomparsa di Xing Lei Li, svanita nel nulla in un giorno di febbraio del 2017 e di cui da allora non si è più trovata traccia, salvo una ricevuta per il pagamento di un pedaggio autostradale con data successiva alla scomparsa e addebitato sulla sua carta di credito della donna. Una storia complicata che forse nasconde solo una fuga precipitosa, ma che è costata all’imputato ora assolto, un anno di carcere preventivo all’interno di Regina Coeli e che ha stravolto la vita dei due figli piccoli della coppia (all’epoca dei fatti di cinque e sette anni) che, all’indomani dell’arresto del genitore e in attesa che la burocrazia facesse il suo corso per l’affidamento alla nonna materna (che continua a vivere assieme al genero e ai nipoti), si erano trovati catapultati, per quasi un anno, all’interno di una casa famiglia della Capitale.