GLI ESCLUSI

I corpi intermedi del Novecento sono stati cancellati senza che nulla li sostituisse

È difficile, anzi impossibile, reprimere un certo fastidio di fronte allo spettacolo imbarazzante di parlamentari che reclamano la rielezione assicurata come un diritto acquisito, parlano dell'obbligo di cercarsi i voti nel collegio come di un sopruso e sembrano considerarsi come Daniele sull'orlo della fossa dei leoni. È certamente irritante sentirli schiamazzare, protestare, rifiutare le candidature di incerto esito, denunciare manovre torbide e persecuzioni staliniane. Tuttavia tutto questo è colore e le reazioni a metà tra il divertito e l'indignato non colgono la potenza rivelatrice delle miserie alle quali abbiamo assistito negli ultimi giorni e alle quali assisteremo probabilmente ancora nei prossimi. Nel suo piccolo, infatti, la tragicommedia delle liste dice moltissimo non sulla qualità dei politici ma sullo stato della politica e sulle radici della sua crisi.

Per i politici di professione, e tali diventano dopo lustri anche quelli che inizialmente non lo erano, il Parlamento o le amministrazioni locali sono oggi gli unici luoghi dove sia possibile occuparsi attivamente di politica. Alcuni anni fa una leader di primissimo piano e ancora relativamente giovane, che aveva deciso di non ricandidarsi accogliendo gli inviti a far spazio alle nuove generazioni, raccontava la desolazione e il vuoto totale nel quale si era ritrovata quando, uscita dal Parlamento, aveva scoperto quanto fosse illusorio pensare di poter fare politica, come un tempo, “nel partito”. Perché i partiti sono un'illusione ottica. I corpi intermedi del ' 900 sono stati cancellati senza che nulla li sostituisse. La stessa sguaiata reazione dei “trombati” alle scelte del partito, del resto, sono una spia eloquente della scomparsa di ogni vincolo comunitario e di ogni pur tenue senso della disciplina imprescindibile in ogni impresa e organizzazione collettiva.

Il panico con il quale a botta calda e salvo frettolosi tentativi di recupero successivo i politici hanno accolto la notizia di doversi “cercare” i voti è eloquente. Certo non bisogna idealizzare oltre misure. Anche quando i partiti erano reali e strutturati la mano della segreteria era essenziale nel decidere chi dovesse essere eletto con relativa certezza e chi no. Ma pur a partire da questa base la campagna elettorale manteneva un suo senso preciso. Impegnava gli aspiranti parlamentari a un contatto diretto con gli elettori che chiedevano di rappresentare, vincolava in misura assai maggiore gli eletti agli elettori e permetteva anche una selezione dei gruppi dirigenti non fondata esclusivamente sulla fedeltà nei confronti del capobastone interno.

Nel quadro attuale i parlamentari sono vincolati solo al capocorrente, il cui potere e la cui presa sono direttamente proporzionali alla capacità di difendere “i suoi”. Il che peraltro equivale spesso a garantirne la rielezione. I guasti che conseguono da gruppi parlamentari selezionati in base alla fedeltà, e che si aspettano di veder ricompensata l'obbedienza, sono numerosi. Dovrebbe saperne moltissimo il Pd, che invece batte imperterrito la stessa disastrata via. Negli ultimi anni le leadership di quel partito, prima Zingaretti poi Letta, hanno dovuto scontare ogni giorno la “zavorra” di gruppi parlamentari scelti dal leader precedente, in questo caso Renzi. Il prossimo gruppo parlamentare sarà segnato dalle impronte digitali dello stesso Letta ma nulla assicura che resterà lui, o qualcuno di affine, alla guida del partito. È al contrario possibile, forse probabile, che a espugnare il Nazareno sia qualcuno che si troverà alle prese con gli stessi guai di Zingaretti e Letta. Solo a parti rovesciate.

Allo stesso tempo, il potere del leader sulla sorte degli esponenti del suo partito porta i dissensi alle estreme conseguenze: invece di restare confinati nel dibattito interno diventano per forza allontanamento o se di gruppo scissione. È dunque in buona parte all'origine delle trasmigrazione permanenti e di massa che hanno eroso la residua credibilità del Parlamento nelle ultime due legislature.

La crisi di sistema italiana e complessiva. Non la si potrà risolvere senza decidersi a rivedere un'architettura istituzionale che non regge più ma neppure senza restituire realtà e solidità ai veicoli della rappresentanza, cioè ai partiti. Ma se è possibile, ancorché difficile, modificare l'architettura istituzionale con una vera riforma della seconda parte della Costituzione i partiti non possono essere rimodellati e rivitalizzati per legge o per decreto. È una responsabilità tutta e solo loro.