Con la sentenza C-295/23 pubblicata due giorni fa, la Corte di Giustizia dell’Ue ha stabilito che le normative nazionali possono vietare la partecipazione di investitori finanziari nelle società tra avvocati, senza per questo violare il diritto europeo, riaffermando che l’indipendenza della professione forense e la fiducia nella giustizia prevalgono sulle logiche di mercato.


Le istituzioni dell’avvocatura italiana, e il Cnf innanzitutto, da tempo segnalano i rischi che possono derivare dalla presenza, nelle società tra avvocati (Sta), di soci di capitale non professionisti. Simili assetti, è la preoccupazione, possono precludere la libertà del singolo avvocato, appartenente a una Sta, di accettare incarichi da determinati soggetti, perché magari gli interessi di quei determinati soggetti, pur legittimi, sono in contrasto con quelli dei soci di capitale.


Il caso tedesco

La controversia risolta dalla Corte di Lussemburgo ha origine in Germania, dove una normativa (successivamente modificata) imponeva che solo avvocati o membri di specifiche professioni regolamentate potevano detenere quote di partecipazione nelle società legali. La legge richiedeva inoltre che i soci partecipassero attivamente all’esercizio della professione all’interno della società, e che la maggioranza delle quote e dei diritti di voto fosse detenuta da avvocati. Nel caso specifico, una società legale aveva trasferito il controllo della maggioranza delle sue quote a un investitore straniero rappresentato da una società di capitali, che non intendeva svolgere alcuna attività professionale all’interno della struttura. L’Ordine degli avvocati tedesco, applicando la normativa nazionale, aveva cancellato la società dall’albo. Tale decisione è stata contestata, sostenendo che la legge violasse il diritto europeo, in particolare i principi di libertà di stabilimento (art. 49 TfUe) e di libera circolazione dei capitali (art. 63), oltre alla direttiva 2006/123/CE sul mercato interno dei servizi. Il giudice nazionale si è rivolto alla CgUe per chiarire se tale normativa fosse compatibile con le libertà fondamentali garantite dal diritto dell’Unione. E in particolare l’equilibrio tra le esigenze del mercato interno e, appunto, il diritto degli Stati membri di adottare restrizioni motivate da ragioni di interesse generale qual è la tutela dell’indipendenza degli avvocati.


La sentenza della CgUe

La Corte ha giudicato la normativa tedesca conforme al diritto Ue, poiché proporzionata e necessaria per tutelare l’indipendenza forense e l’amministrazione della giustizia. Il divieto di partecipazione degli investitori non professionisti è ritenuto adeguato a prevenire influenze economiche indebite, difficilmente evitabili con soli regolamenti interni. Inoltre, la Corte europea ha riconosciuto agli Stati membri ampio margine di discrezionalità nel regolamentare le professioni legali, purché le misure siano proporzionate e non discriminatorie.