E il presunto mostro è finito nel tritacarne Né prove, né riscontri: il “ caso” Richetti è il de profundis della stampa

Tentare di stare alla larga da una querela a mezzo stampa ricorrendo a piccoli escamotage non significa aver svolto con zelo il proprio compito. È questo l'elemento dirimente sulla vicenda che ha travolto il senatore Matteo Richetti e la sua presunta vittima di molestie sessuali. Entrambi finiti nel tritacarne del dibattito da bar per un articolo pubblicato su uno dei più cliccati siti d'informazione online: Fanpage. Come noto, infatti, il giornale ha deciso di raccogliere la testimonianza di un'anonima ( fino a quel momento) ragazza che puntava il dito contro un senatore non meglio identificato - se non attraverso una foto vagamente “oscurata” «piuttosto noto», «candidato alle prossime elezioni e ai piani alti di uno dei principali partiti di questa campagna elettorale». E accolte per buone le parole della donna, le opportune verifiche diventano un optional.

Non si tratta qui di schierarsi nella curva del parlamentare ( aveva già denunciato per stalking la presunta vittima che al contrario non aveva mai raccontato alle autorità questi episodi) o in quella della ragazza ( rivendica il sacrosanto diritto alla paura di una donna vittima di violenze). Il tema, in questo caso, è l'opportunità stessa di pubblicare una notizia così delicata in assenza di troppi elementi indispensabili a comprendere i fatti. Una lacuna implicitamente riconosciuta dalla stessa testata nello stesso momento in cui ha optato per tenere “occultato” il nome del presunto “mostro”. Perché non svelarne l'identità in maniera cristallina, senza limitarsi a lasciare qua e là qualche indizio, se si è sicuri di ciò che si sta scrivendo? Perché limitarsi a ritenere attendibili dei fatti mai riportati all'attenzione della magistratura senza attendere di avere in mano tutte le tessere di un puzzle ancora tutto da comporre? Perché non prevedere che così facendo si espone anche la fonte della notizia a un massacro mediatico?

A quanto pare anche

altre testate, Fatto quotidiano compreso, erano a conoscenza delle informazioni diffuse da Fanpage, ma hanno scelto di non renderle note in assenza di “prove” inoppugnabili. Il giornale online ha invece deciso di sganciare la bomba provocando solo, per ora, gli effetti collaterali della deflagrazione. Il segreto di pulcinella, infatti, è caduto nel giro di poche ore: l'anonimo senatore ha assunto in connotati di Richetti in un battito d'ali e persino la ragazza è stata individuata con agilità dai giornali. Secondo quanto riporta su Domani Emiliano Fittipaldi, a cui certo non mancano le fonti, la presunta vittima sarebbe Ludovica Moiré Rovati, 42 anni, attrice e sceneggiatrice. E in men che non si dica, insieme alla sua identità, a diventare di dominio pubblico è stato anche il casellario giudiziario della ragazza: procedimenti e parziali condanne per stalking sempre legate a presunte molestie. Un ritratto che indebolisce la posizione dell'attrice davanti all'opinione pubblica e ne inficia pesantemente la credibilità: un danno irreparabile, nel caso in cui le molestie si fossero davvero consumate.

Il secondo risultato ottenuto da Fanpage è invece di natura squisitamente politica: alimentare il sospetto che l'attacco a un esponente politico in campagna elettorale fosse un meccanismo studiato e non casuale. Perché in assenza della “pistola fumante”, Carlo Calenda, leader di Azione ( il partito di Richetti), ha gioco fin troppo facile a lanciare strali contro l'informazione a orologeria e a un metodo discutibile. «Neppure nella Romania di Ceausescu a dieci giorni dal voto si operava così», ha detto il numero uno del Terzo polo. E il senatore interessato può sentenziare: «La giornalista autrice dell’inchiesta ha contattato Azione per la prima volta lo scorso aprile sulla base delle accuse di una persona che, a quanto ci consta, aveva inviato dossier nei miei confronti a numerose testate. “Sorprendentemente”, la vicenda è stata tirata fuori solo una settimana prima delle elezioni».

È questo il prezzo del gioco allo sputtanamento: a volte può trasformarsi in un boomerang che cade addosso alle presunte vittime come ai presunti aggressori. E la verità, il fatto incontrovertibile, diventa un accessorio, un soprammobile dimenticato nel castello dell'informazione.