Non erano atti segreti. E neppure la dicitura stampigliata sul fascicolo, “limitata divulgazione”, avrebbe dovuto dissuadere il deputato Giovanni Donzelli dal renderli pubblici. Sono le «conclusioni» riferite questa sera dal guardasigilli Carlo Nordio nel comunicato stampa che, almeno dal punto di vista del ministro, mette la parola fine al caso degli ultimi giorni: i richiami fatti martedì, nell’aula di Montecitorio, dal parlamentare di FdI alla relazione sui colloqui del dicembre scorso fra Alfredo Cospito e tre suoi “compagni di socialità” al 41 bis, nel carcere di Sassari.

Il ministro, si legge nella nota, «conclusa rapidamente la ricostruzione richiesta dopo il dibattito parlamentare del 31 gennaio, ritiene doveroso riferire in sintesi le seguenti conclusioni: la comparazione tra le dichiarazioni rilasciate dall’onorevole Donzelli e la documentazione in atti disvela che l’affermazione testuale dell’onorevole - “dai documenti che sono presenti al ministero della Giustizia” - è da riferirsi ad una scheda di sintesi del Nic non coperta da segreto. Non risultano apposizioni formali di segretezza», osserva Nordio, «e neppure ulteriori diverse classificazioni sulla scheda». Quanto al contenuto dei «colloqui» tra Cospito e altri detenuti, «riferiti dall’onorevole Donzelli», il guardasigilli nota che «non sono stati oggetto di un’attività di intercettazione ma frutto di mera attività di vigilanza amministrativa.

In conclusione, la natura del documento non rileva e disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo o rientranti nella disciplina degli atti classificati». E il ministro della Giustizia aggiunge, appunto, che «la rilevata apposizione della dicitura “limitata divulgazione”, presente sulla nota di trasmissione della scheda, rappresenta una formulazione che esula dalla materia del segreto di Stato e dalle classifiche di segretezza, disciplinate dalla legge 124/07 e dai Dpcm di attuazione, ed esclude che la trasmissione sia assimilabile ad un atto classificato, trattandosi di una mera prassi amministrativa interna in uso al Dap a partire dall’anno 2019, non disciplinata a livello di normazione primaria». Nordio assicura che «tutta la documentazione idonea a spiegare queste conclusioni sarà illustrata in dettaglio, quando le Camere riterranno opportuno».

Vicenda chiusa? Probabile. Anche se la materia è, dal punto di vista dei giuristi, controversa. Secondo alcuni, non si è neppure avuto il tempo di capire se era il caso di “secretarli”, quegli atti. Alla domanda se la relazione su Cospito trasmessa nei giorni scorsi al Dap dal “Gom” della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Sassari, potesse essere resa pubblica da Donzelli, un alto magistrato interpellato dal Dubbio replica così: le relazioni «possono anche non essere tecnicamente segrete nel momento in cui il Dap le riceve e a propria volta le invia al ministro della Giustizia e al sottosegretario con delega alle carceri», cioè Andrea Delmastro.

«Ma considerata la natura di quelle informazioni», prosegue il magistrato con preghiera di lasciarne coperto il nome, «la loro segretezza sarebbe stata magari imposta dal ministro della Giustizia se solo gliene fosse stato dato il tempo». In che senso? «Bastava presentare una richiesta di accesso agli atti: nel valutarla, il guardasigilli avrebbe potuto verificare se, come sembra, le conversazioni tra Cospito e altri detenuti al 41 bis potessero essere meritevoli di approfondimenti da parte dei pm e di essere dunque coperte dal segreto».

Il magistrato interpellato dal Dubbio si riferisce alle “convergenze ideali” captate appunto, nel dicembre scorso, dagli agenti del “Gom” fra l’anarchico Cospito, assurto ormai a epicentro della politica italiana, e tre esponenti della criminalità organizzata detenuti con lui al 41 bis di Sassari: il camorrista casalese Francesco Di Maio, lo ’ndranghetista Francesco Presta e il mafioso siciliano Pietro Rampulla. L’attuale deputato M5S Federico Cafiero de Raho, ex procuratore nazionale Antimafia, e altri esponenti politici tra i quali l’ex guardasigilli Andrea Orlando sostengono si tratti di materiale potenzialmente assoggettabile a un’indagine della magistratura.

Non lo si sarebbe dovuto rendere pubblico, dunque. Ed ecco perché, secondo l’alto magistrato sentito dal Dubbio, «sarebbe stato necessario rispettare la procedura canonica prevista per qualsiasi atto amministrativo, ovvero la presentazione di un’istanza di accesso: tale procedura è necessaria proprio per consentire all’autorità che detiene determinate informazioni di decidere sull’opportunità di trasferirle a chicchessia». Di certo, la rivelazione di un segreto d’ufficio è un reato, previsto all’articolo 326 del codice penale, che non riguarda solo il segreto istruttorio, cioè gli atti dei procedimenti penali.

Atti d’ufficio, come ricorda al Dubbio Giovanni Maria Flick, sono tutti quelli prodotti da una qualsiasi amministrazione, inclusa naturalmente l’amministrazione delle carceri. E la loro eventuale segretezza è presidiata da sanzioni penali, come stabilisce il citato articolo 326. Ma segnala ancora Flick prima che Nordio divulghi il proprio comunicato, la valutazione sull’accessibilità e divulgabilità degli atti richiamati in Aula da Donzelli, può essere fatta dalla magistratura sulla base del contenuto di quegli atti.

Meglio se Donzelli, che pure, in quanto vicepresidente del Copasir, poteva avere una legittimazione funzionale ad acquisire quegli atti, avesse chiesto i documenti in modo più formale, anziché acquisirli informalmente da Delmastro. Ma qui siamo dinanzi all’errore riconosciuto come tale persino dal sottosegretario alla Giustizia. E che comunque Nordio ha del tutto “emendato” con la dichiarazione diffusa in serata.