A guardare i dati semestrali di via Arenula sulla durata dei processi, viene in mente innanzitutto una cosa: la riforma Cartabia ha funzionato meglio in campo penale che nel civile. Certo, il secondo dei due “binari” andrà valutato tra qualche mese, quando saranno davvero a regime segmenti della “nuova giustizia civile” ancora in fase di avvio, come gli incentivi alle soluzioni alternative. In ogni caso, le statistiche del ministero, precisate nella relazione dello scorso 11 ottobre e rilanciate ieri dal sito gnewsonline. it, sono complessivamente interessanti rispetto ai “tempi” dei procedimenti, un po’ meno riguardo all’abbattimento dell’arretrato.

A proposito del primo parametro, il dato relativo al primo semestre 2023 attesta una riduzione della “durata” pari al 19,2% in campo civile e a un sorprendente, appunto, 29% nel penale. Sono statistiche che vanno lette alla luce di due puntualizzazioni. Intanto, non si tratta della “durata” propriamente detta ma piuttosto del “ritmo” nella definizione dei processi: le percentuali in questione, infatti, si riferiscono al cosiddetto disposition time, vale a dire il rapporto fra le cause pendenti alla fine del periodo “osservato” e il numero dei processi “definiti”, cioè oggetto di sentenze passate in giudicato. Ed è chiaro, tanto per intenderci, che il numero di “casi risolti” va visto in base non tanto al dato “assoluto”, ma in rapporto a quanti procedimenti (inclusi quelli vecchissimi) tengono impegnata la macchina giudiziaria.

Poi, sia sul penale che sul civile, il report di via Arenula relativo al primo semestre 2023 va integrato con dati di dettaglio, che un po’ contraddicono il pessimismo dell’analisi firmata lunedì su Repubblica da Tito Boeri e Roberto Perotti. Riguardo al disposition time nel penale, non solo c’è da apprezzare la diminuzione citata, del 29%, riferita a quella che via Arenula definisce baseline, cioè il dato del 2019 ( valido ai fini dei target Pnrr). Non solo, perché il ritmo di smaltimento delle pendenze è forte, pari al - 17,5%, anche se rapportato al primo semestre 2022, a un periodo cioè in cui non si poteva più fare agio sul calo delle nuove cause prodotto dal covid nel 2020 e nel 2021. È evidente comunque che cifre come il - 29% sul “benchmark” concordato con l’Ue, il 2019, rappresentano una garanzia sul raggiungimento del target finale, cioè una riduzione del disposition time in campo penale pari al 25% entro giugno 2026. Ed è sempre per questo che i due principali “autori materiali” della riforma penale di Cartabia, i professori Gian Luigi Gatta e Mitja Gialuz, hanno legittimamente rivendicato i loro meriti in un articolo sulla rivista “Sistema penale”: «Un risultato senza precedenti nella storia repubblicana», hanno scritto. Lo stesso ministero della Giustizia, su gnewsonline. it, fa notare appunto come «la tendenza», nel penale, sia già «in linea con l’obiettivo finale» concordato con Bruxelles.

Nel caso del civile, il quadro è meno sfavillante ma comunque articolato. Da una parte, quel disposition time ridotto del 19,2% rispetto alla baseline del 2019 si ridimensiona in uno striminzito - 1% in raffronto al primo semestre 2022, il “benchmark credibile”, come detto. D’altra parte, l’accelerazione sembrerebbe comunque avviata, perché in primo e secondo grado il disposition time si è ridotto rispettivamente dell’ 8,9 e del 7,8% ( sempre rispetto al primo semestre 2022). Vuol dire che l’onda positiva potrebbe presto riverberarsi, grazie alle decisioni della Cassazione, anche sul disposition time assoluto. Bisognerà attendere, per poterlo dire davvero, il report sui dati al 31 dicembre 2023: arriverà ad aprile del prossimo anno. A curare la relazione saranno, anche nel 2024, i due uffici che Carlo Nordio ha delegato a rendicontare le performance della giustizia italiana, innanzitutto a beneficio degli emissari di Bruxelles: si tratta della direzione generale di Statistica e analisi organizzativa ( DgSTat) e del dipartimento per la Transizione digitale della giustizia.

Quegli stessi uffici, nella loro relazione semestrale dell’ 11 ottobre scorso, restituiscono un quadro assai meno roseo rispetto al target più ambizioso: la riduzione dell’arretrato civile. Con l’Unione europea si è concordato un fantasmagorico - 90% a giugno 2026, laddove il primo semestre 2023 fa registrare ancora un modesto - 19,7% nei Tribunali ( con le Corti d’appello che respirano un po’ di più, in virtù del loro - 33,7%). D’altronde Nordio ha già chiesto all’Ue, per il tramite del ministro delegato al Pnrr Raffaele Fitto, di ridimensionare quel - 90% in un più ragionevole e realistico - 32%. Bruxelles non ha ancora fatto sapere se considera la proposta indecente o ragionevole. Di sicuro, nella giustizia civile, ci si deve preparare a fuochi decisamente meno pirotecnici del previsto.