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Fa paura avvicinare gli elettori a una questione come la giustizia, decisiva per la democrazia
Da più parti, si comincia a prendere cognizione del clamoroso ma non sorprendente silenzio sui temi referendari del 12 giugno prossimo, e più in generale dei temi relativi alla giustizia.
Non è mai troppo tardi, anche se il ritardo è enorme, per quello che riguarda i referendum per una giustizia più giusta: quasi incolmabile. La giustizia è una prateria enorme: il carcere, i detenuti e l’intera comunità penitenziaria costretti a vivere in condizioni inaccettabili e contrarie al dettato costituzionale; in tantissimi ogni anno patiscono una carcerazione preventiva ingiusta ( una bestemmia quella di Marco Travaglio che non sia uno scandalo che un presunto innocente trascorra giorni e settimane in carcere; giustamente Gaia Tortora l’ha mandato sonoramente a quel paese). La giustizia riguarda tutti noi che possiamo finire stritolati nelle maglie della giustizia, e uscirne ( se ne usciamo) con la beffa: “Il fatto non sussiste”. Per risarcimento, cifre irrisorie, quando arrivano.
Diritto al diritto; diritto alla conoscenza: i due architrave del “fare” e del “dire” di Marco Pannella per tutta la sua lunga vita politica. È un richiamo al precetto del presidente Luigi Einaudi, nelle prime pagine delle sue “Prediche inutili”: conoscere per deliberare; chi non conosce decide male, o non decide affatto.
Conoscenza presupposto principale della libertà e della democrazia. Sarà un caso se il primo dei miti riguarda proprio la conoscenza: Adamo ed Eva sono beati e felici, nel Paradiso; tutto possono fare, tutto è al loro servizio.
Solo una cosa è loro preclusa, vietata: assaporare la delizia del pomo della conoscenza. Quando lo fanno, sono inappellabilmente condannati, puniti per sempre: delitto di “conoscenza”.
Anche in quel caso un processo sommario, senza possibilità di difesa; forse per questo, il verdetto è stato rapidissimo… Fuor di celia: la conoscenza è l’incubo di tutti i dittatori.
Pannella lo sapeva molto bene. Altro che le fesserie di chi dipinge un Marco furioso e invidioso del successo di un’Emma Bonino, e da tutti schivato per il timore d’essere vittime di sue fregature. Pannella non è il dio Crono che divora i figli; è l’opposto: molti “figli” di Marco lo hanno sbranato: si sono cibati, nutriti di questo gigante che ha lasciato un enorme patrimonio da studiare, elaborare, arricchire, difendere.
Non è stato un pacifista alla Gandhi, alla Tolstoj, alla Aldo Capitini, anche se ha praticato digiuni, marce, occupazioni, sit in. La nonviolenza pannelliana nulla concede alla mistica pacifista, Marco è più vicino agli anglosassoni: il movimento Fabiano, Herbert Thoreau, Bertrand Russell ( contrarissimo alla prima Guerra mondiale, convintissimo che solo con le armi ci si potesse opporre a Hitler e al nazismo).
La nonviolenza di Pannella è molto pragmatica, legata all’hic et nunc; costituisce un salto di qualità: coniuga l’azione nonviolenta ove possibile, al costante richiamo al diritto. Alla norma, da rispettare e violare se ritenuta sbagliata, pretendendo però che sia applicata con rigore, e così far esplodere le contraddizioni, e poi superarla, magari con l’aiuto proprio di chi la voleva mantenere: con/ vincere, vincere “con”.
La visione nonviolenza/ diritto di Pannella è contenuta in modo mirabile in quel “Manifesto contro lo sterminio per fame nel mondo”, sottoscritto da centinaia di premi Nobel di ogni orientamento politico e religioso, ma da lui materialmente vergato. Un manifesto politico attualissimo, vale per l’“oggi” ed è di pre/ veggente attualità per i tempi futuri.
Questo il lascito: non un’eredità da contendere, piuttosto un patrimonio di tutti, da coltivare con cura.
Compito lungo, difficile, di poca immediata soddisfazione, ma urgente, necessario. Lo comprendono e lo faranno, temo, in pochi.
Personaggi come Pannella ed Enzo Tortora, ma anche Leonardo Sciascia e Pier Paolo Pasolini, sono come i patroni del paese: un paio di volte l’anno la processione, i festeggiamenti, i mille buoni propositi. Finita la festa, gabbato il santo. Per questo credo che Marco abbia sbagliato quando ha detto: “Da vivo mi trattano come fossi morto. Da morto mi tratteranno come se fossi vivo”. No: da morto tentano di seppellirlo e cancellarlo meglio. Da morto in tanti lo temono più di quando era vivo; pochi lo comprendono e lo rimpiangono davvero.