Due anni fa, il settimanale Oggi, in esclusiva, ha mostrato il volto di Gaspare Mutolo. Finito il programma di protezione, il noto pentito di mafia ha deciso di togliersi la maschera. Da allora è diventato un volto televisivo, oltre che primeggiare in numerose interviste. Considerato da sempre attendibile, non solo è stato il pilastro principale del processo contro Bruno Contrada che portò alla condanna dell’ex 007, ma è stato audito in numerosi processi importati, compreso quello contro gli ex Ros Mario Mori e Mauro Obinu.

Come se non bastasse, l’anno scorso è stato invitato a commemorare l’anniversario della strage di Via D’Amelio, con tanto di parole di elogio da parte di Salvatore Borsellino, fratello del giudice trucidato dalla mafia. Recentemente, Mutolo è stato anche evocato durante le audizioni in commissione Antimafia presieduta da Chiara Colosimo. Ma molto probabilmente, il fratello di Paolo Borsellino non è a conoscenza, così come noi de Il Dubbio fino a poco fa, che il pentito, nelle motivazioni di una importante sentenza, ma sottaciuta dagli organi di stampa e non solo, è stato dichiarato inattendibile perché avrebbe percepito delle somme di denaro da un mafioso affinché ritrattasse su di lui per scagionarlo.

Non finisce qui. Come emerge dagli atti, Mutolo stesso, assieme al pentito Luigi Sparacio, avrebbe suggerito all’altro collaboratore Rosario Spatola di accusare non solo un'altra persona al posto del mafioso sotto processo, ma anche di muovere accuse contro l’avvocato Ugo Colonna (difensore dell’ex pentito Maurizio Avola), reo di aver denunciato il verminaio tra falsi collaboratori, tra i quali Sparacio stesso, con taluni infedeli magistrati ed un appartenente all’arma dei carabinieri. Denunce utilissime, tanto da sfociare in un processo con relative condanne.

Nelle motivazioni di questo processo, la sentenza di primo grado numero 55/2008, emessa dal Tribunale di Catania il 10 gennaio 2008, passata in giudicato il 21 ottobre 2014, i giudici descrivono alla perfezione che Mutolo ha avuto un ruolo cruciale nel tentativo di influenzare le testimonianze dei collaboratori di giustizia. Il capitolo 3.5 delle motivazioni, presenta il titolo emblematico: Spatola Rosario, Mutolo Gaspare e Contorno Salvatore. Ebbene sì, anche Contorno ha avuto un ruolo in tutto ciò.

I pentiti, come insegna Giovanni Falcone, vanno vagliati attentamente e soprattutto, se emergono episodi di corruzione e cospirazione da parte loro, andrebbero subito scartati e magari anche inquisiti. Anche perché, se si condannano persone (pensiamo a Contrada) oltre ogni ragionevole dubbio, non si può fare affidamento a chi risulta non impeccabile. E qualche peccato, secondo i giudici di Catania, Mutolo lo avrebbe commesso. Lo si evince dalle motivazioni della sentenza tenuta nei cassetti. I fatti cruciali sono messi nero su bianco nelle motivazioni di condanna del Tribunale di Catania nei confronti di Sparacio nella quale è descritta l’intera vicenda processuale che riguardò, oltre a taluni collaboratori di giustizia, anche taluni magistrati infedeli e un appartenente all’Arma dei Carabinieri.

Cosa dicono i giudici? Nel maggio del 1996, Gaspare Mutolo, su sollecitazione di Sparacio, contattò Spatola, altro collaboratore di giustizia, chiedendogli se potesse modificare le sue precedenti dichiarazioni del gennaio 1993 per scagionare l’imprenditore mafioso Michelangelo Alfano. Inoltre, Mutolo chiese a Spatola se avesse la possibilità di accusare l’avvocato Ugo Colonna, indicandolo come membro di un'organizzazione mafiosa a Messina.

Il pentito Spatola, in quel periodo storico, stava affrontando vari processi pendenti. Egli considerò con sospetto la richiesta di Mutolo, poiché non aveva mai sentito nominare l'avvocato Colonna. Chiese quindi a Mutolo di annotare il nome su un biglietto per non dimenticarlo. Spatola, non di certo per scrupolo morale, ma semplicemente conscio delle possibili conseguenze dell'incontro con Mutolo e Sparacio, avvisò preventivamente le autorità competenti, incluso il Servizio Centrale di Protezione, in particolare l’allora questore Antonio Manganelli. Alla fine Spatola fu accompagnato al centro CriminalPol di Roma per formalizzare la denuncia.

L'indagine, condotta dalla Procura presso il Tribunale di Roma, si concluse nel 1997 con l'archiviazione. Attenzione, l’archiviazione ribadisce che l'istigazione ad accusare l'avvocato Colonna c’è stata. D’altronde a comprovarlo è anche il biglietto scritto da Mutolo. Così come è accertato che quest’ultimo abbia ritrattato le accuse contro Michelangelo Alfano durante il processo maxi quater al Tribunale di Palermo. L’archiviazione stessa, ribadisce che Spatola non aveva raccolto l'istigazione ad accusare Colonna e aveva invece denunciato.

E Mutolo? Finisce archiviato con le seguenti motivazioni: essendo stato considerato un imputato nel processo maxi quater, aveva il diritto di mentire, come fece ritrattando le sue dichiarazioni precedenti riguardanti Alfano. Punto, finisce così. A Mutolo, nonostante la segnalazione, non solo non gli verrà revocato il programma di protezione, ma continuerà a essere considerato da varie autorità giudiziarie, compresa l’allora Procura di Palermo, un pentito attendibile.

Dagli atti, tenuti all’oscuro dell’opinione pubblica, emerge anche il ruolo del pentito Salvatore Contorno. Una vera e propria “cupola” dei pentiti. Accade che Sparacio, assieme a Mutolo, si incontrò con l’imprenditore mafioso Alfano. Quest’ultimo, in quell’occasione avrebbe consegnato del denaro ai due. Dopodiché chiese un incontro con Contorno. Sparacio lo ottenne tramite Mutolo. Tutti e tre si incontrarono sempre al laghetto dell’Eur, a Roma. In quell’occasione, il mafioso Alfano consegnò 50 milioni delle vecchie lire affinché Contorno ritrattasse su di lui. Effettivamente, nel procedimento penale del maxi quater, risulta che Contorno (ma anche Mutolo) ritrattò.

La ritrattazione dei due collaboratori di giustizia palermitani è ben ricostruita nella motivazione della sentenza emessa del Tribunale di Palermo il 31 dicembre 1996 che condannò comunque Alfano non credendo alla ritrattazione delle accuse in precedenza rese dai due pentiti. Quando Alfano apprese che sarebbe stato arrestato, si suicidò. Il motivo? Lo fece per evitare ritorsioni contro la sua famiglia. Di fatto aveva contravvenuto all'ordine di Giuseppe Graviano, risalente al 1994 e di cui Gaspare Spatuzza ha fatto più verbalizzazioni: chiunque avesse individuato Salvatore Contorno avrebbe dovuto ucciderlo. Michelangelo Alfano, uomo d'onore appartenente alla famiglia mafiosa di Bagheria, non solo non eliminò Contorno, ma lo incontrò insieme a Mutolo per concordare dichiarazioni in suo favore ed aggiustare il processo maxi quater avanti al Tribunale di Palermo, consegnandogli anche una consistente somma di denaro.

Nel frattempo Mutolo negherà tutto. Ribadirà che non è vero nulla. Non ha ricevuto nessun soldo e non ha indotto i pentiti a nessuna ritrattazione. I giudici di Catania, nella sentenza del 2008, non gli crederanno. A pagina 350 scrivono: “Mutolo Gaspare è collaborante completamente inattendibile. È sufficiente evidenziare che si tratta dell’unico soggetto appartenente alla malavita organizzata palermitana ad avere escluso la mafiosità di Alfano, il quale, giusta le dichiarazioni rese dallo Spatola e da Sparacio, validamente riscontrate dal comportamento processuale tenuto nel dibattimento conclusosi con la condanna di Alfano dinanzi al Tribunale di Palermo, ha modificato le sue dichiarazioni sul conto di quest’ultimo dietro pagamento di somme di denaro”. Le considerazioni dei giudici non sono la Bibbia, tutto si può mettere in discussione. Ma in uno Stato di Diritto, non si possono condannare persone oltre ogni ragionevole dubbio, basandosi sulle dichiarazioni di un pentito, con evidenti coperture istituzionali, dove gravano queste ombre. In questo Paese, in barba alla lezione di Giovanni Falcone, pentiti così diventano perfino delle icone antimafia. La lista è lunga.