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LA RESISTENZA DELLE TOGHE
Il ddl parte a fatica in commissione ma tiene l’intesa via Arenula- partiti
«Mobilitiamoci». Il coro delle toghe di fronte all’accordo sulla riforma del Csm è unanime: con le nuove regole autonomia e indipendenza verranno spazzate via, a favore di un magistrato «pavido e burocrate», tuona Mariarosaria Savaglio, segretaria di Unicost. Toghe su l piede di guerra «Tutti in piazza, così diventiamo burocrati»
Il costituzionalista Celotto giustifica le barricate: «Non si riduca il servizio giustizia a un algoritmo»
«Mobilitiamoci». Il coro delle toghe di fronte all’accordo sulla riforma del Csm è unanime: con le nuove regole, autonomia e indipendenza verranno spazzate via, a favore di un magistrato «pavido e burocrate, e di una giustizia di tipo difensivo, che pregiudicherà la tutela dei diritti dei cittadini», tuona Mariarosaria Savaglio, segretaria nazionale di Unicost. E grossomodo il timore accomuna tutti, magistrati di “destra”, “sinistra” e di centro, pronti a piantare le tende in piazza pur di evitare quello che già per tutti è uno stravolgimento dei principi costituzionali. Concetto ribadito a gran voce dall’Anm, che ha convocato per il 19 aprile - giorno in cui la riforma dovrebbe arrivare in Aula - una riunione straordinaria del comitato direttivo centrale per discutere della faccenda.
Una data simbolica per condurre una sorta di esame parallelo a quello dell’Aula, il cui prologo è rappresentato dalle parole del segretario Salvatore Casciaro, secondo cui si corre il rischio di «una regressione culturale». A spaventare è soprattutto il fascicolo di performance dei magistrati, che racchiuderà gli esiti delle decisioni giudiziarie: «Attenzione alle statistiche, scrupoloso ossequio alle direttive dei dirigenti e ai precedenti giurisprudenziali guideranno l’attività dei magistrati», con lo scopo di svilire «l’alto senso della funzione», secondo Casciaro.
Per il quale tale scelta porterà in dote «atteggiamenti di conformismo giudiziario, se non addirittura difensivistici».
Dal canto suo, Magistratura indipendente ricorda come quella del magistrato sia l’unica categoria del comparto pubblico sottoposta periodicamente a delle valutazioni di idoneità - positive, però, nel 99% dei casi -, «verifiche necessarie per non essere licenziati» che vengono «spacciate per promozioni».
Nel fascicolo, ora, rientreranno anche le statistiche sui “successi” dell’attività di giudici ( anche civili) e pm. E per “Mi”, ciò provocherà un condizionamento a cascata, facendo così passare il messaggio che esista «una magistratura alta e una bassa», con un conseguente appiattimento dei magistrati «sulle idee di chi sta più in alto». «Il giudice potrà condizionare la carriera del pubblico ministero, il giudice di appello potrà condizionare la carriera di quello di primo grado e a sua volta il giudice di Cassazione potrà condizionare la carriera di tutti quelli dei gradi inferiori», afferma il segretario nazionale della corrente moderata Angelo Piraino. Da qui la richiesta all’Anm di una mobilitazione, condivisa anche dalle toghe di Autonomia e Indipendenza, che invocano lo sciopero attraverso la voce del coordinatore Guido Marzella. È lui a contestare anche il nuovo sistema elettorale, basato sul sorteggio dei distretti giudiziari in cui si vota: «Si sbandiera che dovrebbe togliere potere alle correnti, ma è una bufala gigantesca: favorisce le più forti».
Ma la riforma, secondo Casciaro, ha anche un altro scopo: la separazione delle carriere, anche se ciò non viene dichiarato apertamente. Scopo che verrebbe raggiunto con il limite di un solo passaggio di funzione tra giudice e pm, un modo, prosegue il segretario dell’Anm, per aggirare la Costituzione in tema di unità della giurisdizione, approdando a «una sostanziale incomunicabilità delle funzioni».
Insomma, tutti scontenti. E non poteva essere diversamente, secondo Alfonso Celotto, ordinario di Diritto costituzionale a Roma Tre che, interpellato dal Dubbio, ribadisce la difficoltà nel trovare un equilibrio tra le poste in gioco. E dà ragione alle toghe circa il rischio che si nasconde dietro il fascicolo delle performance. «Non bisogna assolutamente trasformare il servizio della giustizia in un algoritmo che dà i punteggi ai numeri di sentenze o alla produttività - sottolinea -, perché non si tratta di una catena di montaggio per sfornare pezzi.
Bisogna trovare un criterio adeguato per valutare il lavoro di una toga, ma la produttività del magistrato è come tutta la produttività della pubblica amministrazione, che da sempre non riesce a individuare un criterio di valutazione. Giudicare un servizio come la giustizia è difficilissimo».
D’altra parte le difficoltà riguardano, secondo Celotto, soprattutto la questione della legge elettorale, primo step, secondo alcuni, per abbattere il correntismo.
«Siamo ancora a un punto di grande difficoltà - sottolinea -, perché si tratta comunque di un organo elettivo, nel quale devono essere eletti i rappresentanti di 10mila persone, e non è pensabile che non ci siano liste di candidatura. È naturale. Non è stata trovata una soluzione solida, e ciò è dimostrato dal fatto che nella ricerca del punto di sintesi si sentano scontenti sia i magistrati sia le forze politiche». Quale sarebbe la soluzione per evitare il correntismo e garantire il rispetto del dettato costituzionale? «Il sorteggio non è un criterio valido - aggiunge -, perché in un organo rappresentativo, come da Costituzione, serve necessariamente una rappresentanza. Il vero nodo da sciogliere è quello delle nomine di direttivi e semidirettivi, perché è lì che si giocano le partite più complicate. Noi sappiamo che la magistratura ordinaria usa il criterio del merito, che però spesso fa sì che a una carica di procuratore o presidente si candidino decine di possibili aspiranti, con tutte le polemiche che si susseguono e tutte le questioni di cronaca che abbiamo sentito.
Una soluzione potrebbe essere quella di utilizzare, come in passato già avvenuto per le toghe ordinarie, il criterio della magistratura amministrativa, in cui le cariche direttive e semidirettive vengono assegnate per anzianità, salvo demerito.
In quel modo diventa meno competitiva l’assegnazione, e ciò rasserena molti rapporti. Ma la rappresentanza è inevitabile che sia legata a correnti, partiti, gruppi». Anche nel caso in cui si procedesse con un sistema misto sorteggio più elezione -, le cose cambierebbero ben poco: «È chiaro che per essere votato il singolo magistrato debba rivolgersi a qualcuno. È un’esigenza politica e non può non esserci, anche affinché l’organo sia rappresentativo e di autogoverno. Come ci hanno dimostrato gli scandali degli ultimi mesi, il punto nodale è, da un lato, il funzionamento dei criteri con cui attribuire incarichi direttivi e semidirettivi, dall’altro il grande problema è chi giudica sugli incarichi. È giusto che sia il Tar o serve un’alta Corte?
Quella potrebbe essere una strada».
IL COSTITUZIONALISTA ALFONSO CELOTTO
ALESSIA MASTROPIETRO