Con i sottosegretari alla Giustizia Andrea Delmastro e Andrea Ostellari messi sotto scorta. Ma anche con una prospettiva dalle conseguenze incalcolabili: la morte di Cospito al 41 bis. E il punto, chiaro a Palazzo Chigi come a via Arenula, è innanzitutto uno: c’è margine politico per sottrarre l’anarchico al “carcere duro”?

Nordio non considera implausibile, ovviamente, il discorso avanzato dalla Procura nazionale antimafia: considerato il quadro d’insieme, Cospito potrebbe anche essere riportato dal 41 bis al regime “Alta sicurezza 2”, gradino immediatamente inferiore nella gerarchia delle restrizioni penitenziarie. Il ministro della Giustizia, spiega chi ha avuto modo di parlarci dopo l’acquisizione dei pareri sull’istanza presentata dall’anarchico, ha sul tavolo tutte le questioni, tutte ben presenti: l’analisi della Dna come quella, di segno diverso, della Procura generale di Torino. Non ha pregiudizi, il guardasigilli, né ignora il rischio che un eventuale decesso di Cospito apra scenari pesantissimi. Sa meglio di tutti che esiste una dichiarazione anticipata di trattamento trasmessa dal difensore del detenuto, Flavio Rossi Albertini, al Dap. Sa naturalmente che la richiesta perentoria avanzata da Cospito di non essere sottoposto a nutrizione forzata e dunque di essere lasciato morire non esaurisce di per sé il dilemma. Perché non sarebbe del tutto vero che i medici del carcere milanese di Opera, presso cui si trova l’anarchico, dovrebbero rinunciare a qualsiasi tipo di soccorso. E va chiarito se non si possa trovare una via d’uscita nel confronto con i familiari del recluso. Ma è vero, oggettivamente, che l’ipotesi di morte al 41 bis, per Cospito, esiste. Lo ha ricordato anche la senatrice di Avs Ilaria Cucchi, che ieri gli ha fatto visita e ha confermato: «Non intende interrompere lo sciopero della fame». E non si tratta solo di un possibile tragico epilogo per il detenuto. Ne deriverebbero conseguenze per lo Stato. Anche per la tenuta “ideologica” del 41 bis, per il consenso attorno all’istituto.

Tutti argomenti che sono considerati, seppure a un livello diverso, anche da Giorgia Meloni. La quale ieri ha pronunciato da Berlino, dove ha incontrato il cancelliere Scholz, parole coerenti con la gravità della situazione: «Dobbiamo essere uniti», serve «responsabilità» da parte di tutte le forze politiche. Frasi che lasciano cogliere lo stato di allerta a cui si è consegnata la premier. Meloni ha un “file” sempre aperto sulla vicenda dell’anarchico e un canale di comunicazione sempre attivo con il suo ministro della Giustizia.

E nei colloqui fra «Carlo» e la presidente, c’è una bilancia che misura i due scenari: da una parte la ricordata valanga di conseguenze che una morte di Cospito al “carcere duro” potrebbe innescare, inclusa un’escalation delle violenze che la disaggregata e incontrollabile galassia anarchica potrebbe moltiplicare. Dall’altra, come fa notare sempre chi ha avuto modo di confrontarsi con Nordio, il rischio che un’apertura sull’istanza di revoca del 41 bis per Cospito trasformi l’“arma” dello sciopero della fame nello strumento utilizzato da chiunque, persino da Matteo Messina Denaro, per vanificare l’efficacia dell’istituto.

Ecco, se c’è una rappresentazione concreta in cui Meloni, anche nel confronto con Nordio, ha tradotto il suo «nessun cedimento a minacce e violenze», se c’è un punto di caduta di quella «fermezza», è nel pericolo che il 41 bis sfugga completamente di mano: cedere potrebbe voler dire aprire la strada a una catena di emulazioni, ad altri Cospito, mafiosi e non, che cercherebbero lo stesso clamore e lo stesso risultato.

Vuol dire che sul no alla revoca del 41 bis si è già deciso? Non esattamente. Si ragiona con prudenza, in ogni caso. E inevitabilmente si guarda a un orizzonte limitato. Adesso l’udienza in cui la Cassazione potrà rivalutare in no dei giudici di sorveglianza all’altra istanza di Cospito, quella in cui ha chiesto appunto ai magistrati di sottrarlo al carcere duro, è anticipata al 24 febbraio. Un termine comunque lontano per un detenuto in sciopero della fame da oltre cento giorni, che ha perso decine di chili, rifiuta anche gli integratori e dice no in anticipo all’alimentazione artificiale nel caso in cui perdesse conoscenza.

Ma in proposito c’è un punto di vista, «personale, sia molto chiaro, e per nulla riferibile alla presidente del Consiglio», avanzato dal vertice della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, il senatore di FdI Alberto Balboni. Il quale fa notare un risvolto: «La scelta compiuta dalla Suprema corte di Cassazione di anticipare il più possibile l’udienza potrebbe, o almeno dovrebbe segnalare a Cospito quanta attenzione vi sia, per il suo caso, da parte delle istituzioni. Anche la celerità con cui il ministro della Giustizia ha condotto l’istruttoria sull’istanza di Cospito mi pare dimostri la stessa cosa. Sarebbe sensato che il detenuto sospendesse almeno lo sciopero della fame fino all’udienza del 24». Ma, ammette Balboni, «è difficile che una scelta simile arrivi da chi dichiara apertamente di non riconoscere né la legge né le istituzioni».

Di tempo non ce n’è quasi più, nei fatti, come ha ribadito ieri l’avvocato Rossi Albertini. Lo sa Nordio. Lo sa Meloni. Se lo sono detti, evidentemente. Il che per ò non basta, per ora, a incoraggiare una scelta che, ai vertici del governo, continua a evocare troppo da vicino l’idea del cedimento.