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IL RETROSCENA
Lega e Fdi hanno abbandonato le posizioni putiniane. Ma se Matteo si è rifugiato nel silenzio, Giorgia fa il tifo per la Nato. Entrambi però esultano per Orban
Forse per capire il dilemma della destra ( ma a questo punto sarebbe più preciso dire “delle destre”) in Italia conviene dare uno sguardo fuori dai confini di casa. Ma appena appena, nella vicina Francia. Solo un mese fa o poco più Marine Le Pen appariva come una leader finita, incalzata dal falco Eric Zemmour, destinata forse a non arrivare neppure al ballottaggio e comunque sconfitta in partenza. La riconferma, per Macron, sembrava una passeggiata. Un mese dopo e alla vigilia delle elezioni di domenica i sondaggi per il ballottaggio del 24 aprile registrano invece un testa a testa senza precedenti: il presidente uscente al 51,5 per cento, la sfidante al 48,5 per cento. Con l'ombra del voto degli elettori di France Insoumise, la formazione di estrema sinistra di jean- Luc Mélenchon che in nome dell'antiamericanismo potrebbero votare per la candidata del Front National. Il sorprendente recupero è merito di una campagna elettorale azzeccata, svolta puntando a differenziarsi in senso moderato e rassicurante dall' ' estremista' Zemmour. Ma è difficile immaginare che non pesi anche lo schieramento contro le sanzioni anti- russe della ' putiniana' Le Pen. La vittoria della leader del Front sarebbe per l'Europa un terremoto di portata tale da far apparire la Brexit una scossa minore ma anche una sconfitta di misura avrebbe un significato politico enorme.
Se si volge lo sguardo un po' più distante, fino all'Ungheria di Orbàn il quadro è identico. La vittoria del solo leader di un Paese Ue apertamente schierato con Putin era prevista ma per un soffio. Orbàn ha stravinto, mantenendo ampiamente i due terzi del Parlamento necessari per intervenire a piacimento sulla Costituzione. In Italia Salvini e Meloni hanno applaudito l'alleato di Budapest con lo stesso entusiasmo. In realtà proprio sul punto destinato a orientare e riordinare ancora lungo e forse in misura crescente la politica di ogni Stato Italia inclusa, cioè sulla guerra e sui rapporti con Putin, lo scarto tra le due formazioni italiane e i ' partiti fratelli' ungherese e francese è marcato. Giorgia Meloni ha sterzato più bruscamente di come non si può. Da esaltata ammiratrice di Putin si è trasformata nella più fervente sostenitrice della linea atlantica dopo il Pd, persino più della pur schieratissima Fi. Salvini non la ha seguita né inseguita ma neppure ha difeso anche solo in parte le posizioni precedenti. Si è rifugiato nell'afasia.
Se e quanto le distinte posizioni della destra italiana potranno reggere dipende da diversi fattori: l'evolversi del conflitto, soprattutto dopo quel 9 maggio che Putin ha indicato di fatto come termine della ' missione', almeno nelle sue intenzioni, ma anche la temperatura di un disagio sociale che certamente si innalzerà ma non è prevedibile di quanto. Giorgia Meloni, che sul tavolo della guerra gioca per affermare la propria affidabilità agli occhi della Ue e degli Usa, cercherà di marcare ancor più del solito l'immagine d'opposizione su tutti gli altri fronti martellando sul fronte del sociale. In sé è un compito facile e indolore per Draghi, trattandosi di un partito d'opposizione. La necessità di competere con FdI spingerà però probabilmente Salvini ad alzare a propria volta la voce, sempre che la ritrovi.
È però Giuseppe Conte il vero competitor di Salvini, non solo nel tentativo di rappresentare il disagio sociale ma anche in quello di accaparrarsi la rappresentanza di quell'ampia parte di Paese contrario all'atlantismo radicale e totale di Draghi, Letta e anche Meloni. Quello che di fatto è solo da pochissimo il leader dei 5S non può che provare a occupare quella postazione libera, pena il presentarsi alle elezioni come capo di un partito vuoto e senza alcuna identità. Anche a prezzo di arrivare allo scontro con il promesso sposo Letta e con il ' nemico interno' Di Maio. Ma su quella strada, complice una temperie come quella che stiamo vivendo, non è del tutto escluso che proprio Conte e Salvini, dopo il lungo gelo e l'avvio attuale di disgelo, si ritrovino più vicini di quanto non si possa immaginare oggi.