L'incontro tra Giorgia Meloni e il ministro della Giustizia Carlo Nordio non dice quasi niente su come finirà la vicenda della nuova legge sulle intercettazioni ma dice quasi tutto su come la premier si prepara ad affrontare uno scoglio di grande pericolo e prima grandezza cercando di aggirarlo. Più che l'insignificante comunicato finale bisogna guardare alla foto dei due, allo sguardo adorante con cui la giovane presidente guarda l'anziano ministro della Giustizia. Quella foto vuole dire a tutte lettere che tra i due non c'è neppure una piccola increspatura e ci riesce perfettamente. Del resto negli ultimi giorni una Meloni furibonda per le voci su un conflitto insanabile ha ripetuto, con palese allusione ai forzisti, oggi impegnatissimi a sostenere il Guardasigilli, «Nordio glielo ho dovuto imporre io!».

Giorgia insomma non ha alcuna intenzione di lasciar dilagare un lettura della situazione che la vede nemica di Nordio e contraria alla sua riforma. Prima di tutto perché sa che l'assedio di Salvini al ministero di via Arenula mira in realtà a colpire proprio lei. Ma anche e anzi soprattutto perché le è chiaro il gioco di Renzi che punta a fare della giustizia la leva per sgretolare la maggioranza, blindare un'alleanza non solo contingente ma strategica con Fi e diventare così vero elemento centrale in questo Parlamento oggi e nel Paese domani. Sa perfettamente che quell'alleanza si può cementare con massima facilità proprio intorno alla difesa di Nordio e della sua riforma. Certo, quella riforma al momento è solo un progetto vago, forse una velleità. Ma Renzi e Berlusconi mirano a forzare la mano portando direttamente in Parlamento ddl, costringendo così l'indeciso ministro a muoversi.

Per l'inquilina di palazzo Chigi diventa dunque fondamentale blindare l'asse con Nordio su entrambi i fronti. Per rintuzzare gli attacchi camuffati di Salvini e per impedire che il blocco centristi- Fi si formi, si rafforzi e alla fine le dia il benservito. Il problema però è evidente. La riforma ventilata da Nordio, Giorgia Meloni non la vuole davvero. Non ora e non con quelle caratteristiche. Significherebbe ingaggiare una battaglia campale e frontale con la magistratura ed è quanto di meno utile e opportuno in questo momento. Significherebbe dilapidare il capitale di credibilità personale che sta accumulando nei salotti che contano in Italia e all'estero. Capitale di credibilità che riguarda lei infinitamente più del governo nel suo complesso. Vorrebbe anche dire dover poi saldare il conto anche con la Lega, perché Salvini non potrebbe accettare che i suoi alleati raggiungano i loro rispettivi obiettivi, il presidenzialismo per Fdi e la riforma della giustizia per Fi, senza che il Carroccio porti a casa il proprio, l'autonomia differenziata.

C'è un solo modo per quadrare il cerchio. A stemperare la riforma, rendendola certo non gradita ma neppure indigeribile per la magistratura, deve essere lo stesso Nordio, in assoluta armonia con palazzo Chigi. Non è una missione facile da nessun punto di vista. Il potere togato ha margini di tolleranza molto bassi: una riforma che non venga considerata inaccettabile dovrebbe essere davvero all'acqua di rose. Forza Italia vuole incassare risultati reali e convincere Berlusconi ad accontentarsi, nonostante i rapporti di forza all'apparenza schiaccianti, non sarà un gioco. Dall'altra parte del tavolo c'è un giocatore abile come Renzi che sa di avere in mano carte vincenti, perché col Terzo Polo lui e Calenda possono offrire a Berlusconi la sponda necessaria per smarcarsi da una destra a egemonia Meloni, e sa anche come giocarle. Lo stesso Nordio, per temperamento e orizzonte strategico, non è certo la figura più indicata per facilitare un rapporto non troppo bellicoso con la magistratura.

L'arma sulla quale può contare la premier è proprio il rapporto stretto e fiduciario con Carlo Nordio, sommata a una percezione comune dell'intera destra di quanto friabile sia quel terreno in termini di consenso. Di altre via d'uscita, comunque, non se ne vedono e l'incontro di giovedì dimostra che quella via la premier ha già iniziato a batterla.