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La premier in pectore sfida il leader di Fi e fa asse con Salvini e Tajani per ridimensionarne le pretese
«Negli appunti di Berlusconi manca una cosa: non sono ricattabile». Giorgia Meloni, all'uscita da Montecitorio, va giù dura contro il leader azzurro, che in un foglio di appunti lasciato in Senato aveva dato giudizi poco lusinghieri sulla premier in pectore, definita anche «arrogante». La polemica riesplode dopo il mancato voto di FI a Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, dopo il ' veto' di Meloni a Licia Ronzulli in consiglio dei ministri. Non è bastata l'elezione del leghista Lorenzo Fontana alla guida di Montecitorio a placare le acque. La “ferita Ronzulli” non si sarebbe rimarginata. Tant’è che il Cav spera ancora di inserire la senatrice azzurra, sua stretta collaboratrice, nella lista dei ministri. Nei prossimi giorni è atteso l’incarico per Giorgia Meloni da parte del Capo dello Stato. La premier in pectore ribadisce: «Dobbiamo dare alla nazione un governo più autorevole possibile, abbiamo dato la nostra parola agli italiani e come sempre la manteniamo». Al primo posto: «Caro bollette, tasse, lavoro, approvvigionamento energetico». La Russa assicura che il governo sarà compatto e nega che ci sia stato un diverbio, trasmesso da un video senza audio, tra lui e Berlusconi in Senato, ma chiede anche a Berlusconi di dire che quell’appunto con scritti giudizi poco lusinghieri su Meloni definita «arrogante» «sono un fake». Matteo Salvini, con un atteggiamento di mediazione, tende a smussare le polemiche dopo quello che Berlusconi ha definito «un segnale perché non ci siano più veti» nella composizione della squadra di governo. Il “capitano” dice di essersi sentito più volte con il Cav e anche con «Giorgia». «Tutto si risolverà», assicura. Ma il leader leghista sembra anche cercare di allontanare da sé il rischio di dare l’immagine di un asse preferenziale con Meloni. La presidente di FdI in una parte di FI è sospettata anche di voler costruire un asse preferenziale pure con lo stesso coordinatore azzurro Antonio Tajani. Cosa che potrebbe determinare l’esclusione di azzurri considerati più vicini a Licia Ronzulli dalla squadra di governo e da altri incarichi parlamentari. Salvini, intanto - molto soddisfatto per l’elezione del suo ex vice Fontana, che inizia il discorso a Montecitorio rendendo omaggio al presidente Mattarella, a Papa Bergoglio e a Umberto Bossi, presente in aula, sotto la cui guida iniziò a fare politica in un quartiere popolare di Verona - l’altra sera dopo aver incontrato Meloni aveva escluso che il centrodestra vada separato alle Consultazioni al Qurinale. Lo sostiene anche l’ex sottosegretario di FI alla Difesa Giorgio Mulè, nome di peso nel firmamento azzurro. Ma è evidente che le tensioni restano, un segno sarebbero quei 14 voti mancanti al centrodestra per Fontana. Resta il “disagio” per quei no che secondo Mulè sarebbe sbagliato ridurre a una questione personale contro l’ingresso nel consiglio dei ministri della senatrice Licia Ronzulli. Perché secondo Mulè il problema posto da Berlusconi «è legato alla dignità politica di Forza Italia, alla necessità di avere sensibilità al governo per la sua storia e cultura». Spiega l’ex direttore di Panorama, considerato di casa ad Arcore: «Mi riferisco ai temi che riguardano la giustizia, l’economia…».
Il ruolo di FI come forza «garante dell’europeismo, l’atlantismo, il garantismo» è stato sempre ribadito da Berlusconi durante la campagna elettorale, dove al simbolo di Forza Italia si è aggiunta la scritta del Ppe. Il Cav lo avrebbe ribadito ai suoi senatori a Villa Grande, ricordando la politica dei veti rischia di creare divisioni e non assicurare poi la stessa stabilità del governo. Resta il fatto però che per FI sarebbe molto in salita la strada per avere la Giustizia, dove Berlusconi vorrebbe Casellati o, in alternativa, Francesco Paolo Sisto. Il nome più forte nella cruciale casella sarebbe sempre quello dell’ex magistrato Carlo Nordio, eletto alla Camera con FdI. Mentre agli Esteri viene dato stabile Tajani, vicepresidente di FI, alla Pubblica Amministrazione in pole un altro azzurro di spicco, il senatore Maurizio Gasparri, all’Università Annamaria Bernini, capogruppo uscente dei senatori. Nella rosa del Cav anche il quarantenne Alessandro Cattaneo, capo dei dipartimenti di Fi, che potrebbe andare a Energie e Transizione ecologica. Centrale è il Mef. Qui viene dato stabile il nome di Giancarlo Giorgetti, vicesegretario della Lega. Ma poiché l’ipotesi era stata avanzata da FdI e non gradendo Salvini che, seguendo di fatto il metodo Draghi, si facciano nomi da parte degli alleati di esponenti del suo partito, lo stesso Giorgetti l’altra sera ha detto: «Andrò al Mef solo se me lo dice la Lega». Salvini si è già detto onorato se il suo partito sarà chiamato a occuparsi anche di Economia. Meloni, non a caso forse, ieri mattina, dopo aver detto l’altra sera che questo sarebbe un ottimo nome, si è trincerata dietro il riserbo ricordando che lei non è ancora la premier incaricata. Per la Lega circola anche il nome di Roberto Calderoli all’Autonomia. Un nome che però, secondo rumors, il governatore Luca Zaia preferirebbe fosse del Veneto. Ma pesa il fatto che lo stesso Calderoli abbia già fatto un passo indietro per la guida del Senato, scelta di cui Meloni lo ha ringraziato. Salvini viene sempre dato in pole per le Infrastrutture. Per l’Agricoltura si continua a parlare di Gianmarco Centinaio. Alla Lega dovrebbe sempre andare il dicastero della Disabilità, un ministero fatto creare dal partito di Via Bellerio molto attento al tema. Resta però in cima alle opzioni leghiste sempre la Sicurezza e quindi il Viminale. Il puzzle ormai si dovrà sciogliere a giorni.