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Se c’è il “clamore mediatico” scatta il procedimento disciplinare. Se il “clamore mediatico” invece non c’è allora finisce tutto in una bolla di sapone. La vicenda riguarda il dottor Piero Mita, un luminare della Procreazione medicalmente assistita (Pma) e anche medico di base a Milano fino allo scorso anno, quando è andato in pensione.
Nella sua lunga carriera professionale il dottor Mita ha curato migliaia di persone. Ma Mita si è dedicato anche a chi era in situazioni di disagio ed emarginazione. Per questo suo impegno nei confronti del prossimo è stato sempre molto stimato ed apprezzato. Nel 2011 entrò in contatto con una signora ottuagenaria che viveva, insieme ad un cane, in un modesto bilocale alla periferia di Milano. La signora, sola e senza figli, era seguita dai servizi sociali. Le sue condizioni di salute erano però alquanto precarie, aggravate anche dalla fatiscenza del domicilio, sprovvisto di corrente elettrica, riscaldamento e gas. L’unica fonte di sostentamento era una pensione di circa 600 euro mensili, la cui gestione era affidata ad un amministratore di sostegno nominato dal tribunale.
L’impegno dei servizi sociali si limitava alla somministrazione dei pasti. L’Amministratore di sostegno, invece, aveva deciso di dichiararla incapace di intendere e di volere per poi procedere al ricovero coatto in una casa di riposo. Mita, allora, pensò di portare la signora in un centro specializzato per malattie mentali dove i medici esclusero qualsiasi «patologia psichica attiva», diagnosticando una «fragilità emotiva»: la «sindrome di abbandono» che colpisce gli anziani soli. Mita iniziò quindi a provvedere alle piccole incombenze della signora, mettendo ordine in casa e accompagnandola, dopo anni, dal parrucchiere. L’estate la invitava a trascorrere qualche settimana nella sua dimora di campagna.
Il nuovo amministratore di sostegno, nel frattempo subentrato al precedente, in una relazione al tribunale del 2015, diede atto del positivo recupero della signora che aveva «ritrovato serenità e la cura per sé stessa». Nel marzo del 2016 la signora, tornata a vita nuova, effettuò addirittura un viaggio a Lourdes. Il 13 luglio del 2016 arrivò la doccia fredda: su ordine della procura di Milano, Mita venne arrestato con la terribile accusa di essersi approfittato di lei. Associazione per delinquere, sequestro di persona, circonvenzione d’incapace e maltrattamenti, i reati contestati.
Il giorno dell’arresto, durante la conferenza stampa, i carabinieri raccontarono che Mita avesse “segregato” in casa la signora, «spogliandola di tutti gli averi, picchiandola, costringendola a mangiare alle mense dei poveri e, all’occorrenza, a lavorare gratis come cameriera e addetta alle pulizie». Mita trascorse tutta l’estate del 2016 agli arresti, prima che il magistrato decidesse di rimetterlo in libertà. Per anni non si seppe più nulla.
Il processo ebbe inizio solo nel 2021 e si concluse lo scorso anno con l’archiviazione delle accuse più gravi, come l’associazione a delinquere, rimanendo in piedi solo contestazioni minori.
Lo scorso aprile, dopo quasi un decennio, si è fatta viva la Commissione di disciplina dell’Ordine dei medici di Milano con una nota il cui inizio è già tutto un programma: «Vista la notizia di cronaca apparsa sulle principali testate giornalistiche del 17 e 18 luglio 2016 per una vicenda di “sfruttamento” di persone affette da deficit cognitivo si invita la S.V. presso la sede dell’Ordine per la celebrazione del processo disciplinare». Processo che si è concluso l’altro giorno con la pena massima. In pratica il “processo mediatico” ha dato il via al processo disciplinare. Se non ci fosse stato il primo, non ci sarebbe stato il secondo. Può un sistema disciplinare attivarsi in base agli articoli di giornale?
Interpellata dal Dubbio, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici ha confermato che è proprio così. Una sperequazione senza pari ed una profonda ingiustizia. Con queste “regole” un medico accusato e condannato di reati anche molto più gravi di quelli contestati al dottor Mita può continuare ad esercitare la professione e a visitare i pazienti senza alcuna conseguenza. L’importante è evitate il “clamore mediatico”. Il processo mediatico, che è la negazione del diritto e del principio di legalità, non lascia scampo.
Servirebbero invece regole certe e tempi certi. Che valore può avere una sanzione che arriva a distanza di un decennio? Se un medico è accusato di sbagliare sempre le diagnosi e far morire i pazienti rimane in corsia come nulla fosse? Un bidello accusato di pedofilia rimarrebbe in una scuola elementare?
Mita, difeso dall’avvocata milanese Alessandra Reale, è ora in attesa della motivazione del provvedimento per presentare ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. Sperando in un esito migliore alla luce di una più attenta lettura dei fatti.