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Un discorso breve. Ma intensissimo e severo. Tra i più densi che Sergio Mattarella abbia rivolto ai magistrati da quando è al Quirinale. Il Capo dello Stato parla a Napoli, nell’ex tribunale di Castel Capuano, di cui stamattina si è inaugurata una funzione che restituisce l’“antico maniero” a nuova vita: è la terza sede della Scuola superiore della magistratura.
Dopo il presidente dell’istituzione che forma i giudici, Giorgio Lattanzi, dopo il guardasigilli Carlo Nordio e il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, interviene il presidente della Repubblica, con una “lezione” di grande significato su alcuni dei temi più delicati che riguardano la giustizia. Il Capo dello Stato richiama più volte il principio dell’ «indipendenza» della magistratura ma anche i limiti della funzione giudiziaria, che, nel penale, deve provvedere all’«accertamento dei reati» senza lasciarsi sedurre dall’ambizione di accogliere «tutte le istanze». Ci sono «rivendicazioni umanamente comprensibili» ma che possono trovare rispoista nei «compiti» e nelle «decisioni» proprie di «altri organi, titolari di altri poteri». E ancora, a questi altri poteri, che Mattarella non elenca ma che sono chiaramente il legislativo, l’esecutivo e la stessa presidenza della Repubblica, deve essere riconosciuto lo stesso «rispetto» che va assicurato alla «irrinunziabile indipendenza della funzione giudiziaria».
Interpretare può essere arbitrario. Ma è difficile non cogliere, in un discorso del genere, un nesso con vicende come l’indagine sulla gestione della pandemia condotta a Bergamo o il processo sulla “trattativa” Stato-mafia, segnato dall’ambizione spasmodica di rispondere appunto a istanze di verità per le quali poteva essere più adeguata un commissione parlamentare d’inchiesta anziché la giustizia penale. I magistrati rispettino la «separazione dei poteri»: è questo il messaggio.
Ancora, Mattarella si sofferma sulla necessità di «agire con determinazione», come l’ordine giudiziario ha dimostrato di saper fare, «nei confronti dei magistrati ritenuti responsabili di gravi reati nell’esercizio delle funzioni». Ma meglio sarebbe «prevenire ogni forma di malcostume interno», con una più attenta «vigilanza». Solo così si evita il discredito della magistratura.
Ma è il richiamo ai limiti della funzione giudiziaria il senso ultimo della lezione. Colpisce davvero il discorso di Mattarella, che ha il respiro della pacificazione e del riequilibrio, del riscatto possibile per la magistratura non nella pretesa di ritrovare la primazia acquisita, a partire da Mani pulire, per la crisi dei partiti, ma con un ritorno al corretto confine tra i poteri, un riadattarsi delle toghe ai loro limiti. Il che, è il messaggio sottile ma intelligentissimo che la massima carica dello Stato intende veicolare, conferirebbe all’ordine giudiziario proprio quella forza e quella credibilità che si fa fatica a ritrovare.
A ben guardare l’intero discorso nel Salone dei Busti di Castel Capuano è ispirato alla necessità di ristabilire la giusta separazione fra i poteri, e anche un qualche doveroso ossequio – non formale ma certamente ideale – alla «funzione legislativa» in quanto immediata espressione della «sovranità popolare». Se è solo nella «legge» che l’autorità del magistrato può legittimarsi, non si può dimenticare, ricorda il presidente della Repubblica, che la funzione legislativa» è propria di «parlamentari eletti dal popolo e politicamente responsabili». È come se la legge, dunque, fosse lo snodo che lega l’azione del magistrato con gli altri poteri, con il Parlamento in particolare, e che così sancisce l’inderogabilità di quel rispetto tra funzioni dello Stato e anche il loro necessario riparto.
Ecco, è in questo quadro che si colloca l’indipendenza della magistratura: come qualità di chi interpreta le norme senza travalicare quel compito, tanto da assumere l’indebito esercizio di funzioni «creative». Altro puntuale richiamo ai limiti della funzione giudiziaria, che un presidente della Repubblica rigoroso nel riconoscere l’altezza del compito assegnato alla magistratura tiene a rivolgere con una severità mai così evidente. D’altronde si parte da qui, dal riconoscimento della legge e della sua «effettiva portata», priva di venature creative appunto, per arrivare al monito forse decisivo: la necessità di evitare che il processo venga destinato a «finalità diverse», che sarebbero di fatto politiche.
Prima, Mattarella ricorda come «talvolta le istanze di tutela dei diritti presentate alla magistratura» assumano «connotazioni nuove e inedite, rispetto alle quali risulta difficile rinvenire una puntuale e chiara disciplina»: questo può dipendere, certo, da «alcuni ritardi del legislatore». Ma persino in questi casi le soluzioni che il giudice può trovare devono restare ancorate al «diritto positivo». E se nella giustizia in generale è impensabile la «pretesa» eventuale di qualche magistrato di creare nuove leggi, allo stesso modo, nel penale, «le responsabilità individuali vanno giudicate con precisione e senza alcun condizionamento». Il pm e il giudice devono limitarsi all’«accertamento dei reati». Perché appunto «il processo non può essere utilizzato per finalità diverse, che ne stravolgerebbero il ruolo, mettendo gravemente a rischio la fondamentale separazione dei poteri».
Prima della cerimonia inaugurale, Mattarella restituisce una solennità anche istituzionale, capace di sommarsi allo splendore che promana dagli stessi luoghi, alla biblioteca di Castel Capuano. Il Capo dello Stato osserva l’altissima volta affollata di “cinquecentine” e volumi preziosi e pronuncia una semplice esclamazione: «Uno spettacolo». Gli si avvicina Antonella Ciriello, vicepresidente della Scuola superiore della magistratura, incaricata di fargli da guida: gli segnala, tra l’altro, come la biblioteca sia nata grazie ai libri donati dagli avvocati. “Vi affidiamo i compagni preziosi del nostro lavoro”, recita la lapide. «L’ha dettata il suo collega Enrico De Nicola», puntualizza Ciriello. Ci sono gli avvocati e la loro secolare tradizione, a incorniciare una giornata importante per i rapporti fra i magistrati e gli altri poteri. Giusto che sia così, giusto che tutto avvenga a Napoli, che del diritto è una vera capitale.