«Abbiamo molto a cuore la costante individuazione di punti di contatto con l’avvocatura e con le altre componenti dell’associazionismo giudiziario». La presidente di Unicost Rossella Marro parte da questa considerazione nel commentare l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense, celebrata lunedì scorso. «In questo momento storico – dice al Dubbio – dobbiamo evitare di spaccarci sui temi divisivi e concentrarci su quelli che generano massima condivisione. Solo un fronte compatto di magistratura e avvocatura consentirà di far comprendere le ragioni alla base delle nostre posizioni, mai preconcette, ma frutto dell’esperienza di chi ogni giorno lavora negli uffici giudiziari».

Nell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Cnf, la presidente dell’avvocatura istituzionale, Maria Masi, ha rivolto ai protagonisti della giurisdizione un appello all’unità. Nella giustizia le cose possono cambiare se avvocati e magistrati collaborano tra loro. Cosa ne pensa?

Nel recente congresso nazionale, tenutosi a Bologna il 10 e l’11 marzo scorsi, anche Unicost ha manifestato l’interesse e l’utilità di un confronto e di una collaborazione con l’avvocatura. L’interesse al buon funzionamento della giustizia è comune. È un principio che abbiamo espresso come gruppo anche con riguardo agli altre componenti associative. Secondo la nostra opinione, noi dovremmo cercare, per quanto possibile, di mettere da parte quello che ci separa e di unirci rispetto a quei temi per i quali sussiste un comune sentire. Io penso che superando gli steccati anche con l’avvocatura potremo trovare un terreno comune di visione. Dobbiamo lavorare su questo fronte. Sono quindi del tutto d’accordo con la presidente del Cnf Maria Masi.

Il confronto costruttivo tra avvocatura e magistratura può consentire anche di incidere meglio sulle scelte politiche e legislative?

Sicuramente. Auspico una sempre maggiore collaborazione tra la magistratura e l’avvocatura nel rappresentare quello che non va nella riforma del processo penale, nella riforma del processo civile e nella riforma dell’ordinamento giudiziario. Quest’ultima rischia di condurci verso la burocratizzazione dell’attività giudiziaria. Credo che anche l’avvocatura non abbia alcun interesse a vedere operare nelle aule dei tribunali un giudice burocrate. Ci vuole un magistrato consapevole del ruolo, in grado di lavorare e di dare una risposta di giustizia che possa incidere. L’efficienza del servizio è fondamentale così come è importante non snaturare il senso della giurisdizione.

In merito alla funzione dei protagonisti della giurisdizione, nella cerimonia del Cnf Masi ha evocato i diversi punti di vista sul ruolo del Foro nei Consigli giudiziari, tema sensibile non solo per l’avvocatura, evidentemente.

Concordo con lei nel definirlo un tema sensibile. La magistratura è cauta, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto delle valutazioni di professionalità. La riforma dell’ordinamento giudiziario è intervenuta su questo fronte. Il contributo dell’avvocatura sui temi che riguardano l’organizzazione è di sicuro prezioso e la partecipazione dell’avvocatura è doverosa. L’avvocatura e la magistratura devono lavorare insieme. Sulla questione specifica delle valutazioni, invece, la magistratura è un po’ più cauta perché ci sono delle realtà territoriali particolari. Pensiamo ai piccoli uffici giudiziari, alle realtà di provincia. In questi casi, sulla partecipazione dell’avvocatura alle valutazioni di professionalità, la magistratura esprime cautela ed è tendenzialmente contraria.

Perché questa presa di posizione?

È come se si confondessero i piani. Già adesso e anche con la riforma dell’ordinamento giudiziario l’avvocatura ha utili strumenti che utilizza attraverso il Consiglio dell’Ordine. Il veicolo del Coa è fondamentale per evitare le personalizzazioni. Si obietta spesso che al Csm, tra i laici, ci sono anche gli avvocati. Ma al Consiglio superiore della magistratura l’avvocato e il componente laico non esercitano la professione nello stesso territorio in cui opera il magistrato durante la consiliatura, mentre nel Consiglio giudiziario gli avvocati che ne fanno parte continuano a esercitare, nel quadriennio del loro mandato, la professione forense. Non voglio dire che il magistrato possa essere condizionato dalla presenza dell’avvocato nel Consiglio giudiziario rispetto alla sua valutazione di professionalità. Pensiamo però all’avvocato di controparte nel processo civile. Si potrebbe determinare una situazione spiacevole, anche solo di sospetto di condizionamento. Ecco perché dico che le personalizzazioni vanno evitate. Alcune forme per evitare tali situazioni ci sono già: l’avvocatura, tramite il Consiglio giudiziario, può fare delle segnalazioni nel caso vi sia un magistrato che esercita la giurisdizione con delle criticità. La presenza dell’avvocatura è comunque fondamentale per evitare derive corporative.

Sulle riforme del civile e del penale, avvocatura e magistratura hanno espresso varie perplessità: pure in questo caso è emersa una sensibilità comune?

Nella riforma civile sono state introdotte tante decadenze, inammissibilità, improcedibilità. Definire un processo con una decisione in rito è, secondo me, spesso una sconfitta. Il processo e le norme procedurali dovrebbero essere semplici e snelle, tali da consentire di decidere nel merito. Tutto quello che si risolve in una decisione meramente processuale è un fallimento del processo stesso. Quest’ultimo deve essere funzionale e servente rispetto alla decisione nel merito. Le criticità sono state evidenziate da tutti gli operatori del diritto. Nel penale la riforma è stata epocale. È la prima riforma sistematica, dopo anni. Ha toccato tutti gli aspetti processuali. Ma, anche qui, con luci ed ombre. Sulle pene sostitutive, per esempio, è condivisibile l’impianto, per il potenziamento di pene che possano assolvere alla finalità rieducativa. Non si possono però fare riforme a costo zero: per rendere effettivo questo nuovo sistema di sanzioni occorrono le risorse e i mezzi. Occorre potenziare gli uffici di esecuzione penale esterna. In ogni caso, bisognerà giudicare le riforme alla prova dei fatti e, anche nella prospettiva di eventuali correttivi, il confronto tra tutti gli operatori del diritto sarà fondamentale.