Finora Fabio Pinelli, vicepresidente del primo Csm post riforma, ha tenuto un profilo basso. O, se si vuole, ha sempre scelto una chiave di lettura così alta da restare estranea alla dialettica politica vera e propria. Ma due sere fa, con il discorso a un evento promosso dalla Fondazione Bachelet, ha “infranto il protocollo” su due aspetti decisivi: l’opportunità, offerta dalla riforma del Csm targata Cartabia, di mettere fine al paradosso delle valutazioni di professionalità tarate sull’eccellenza per tutte (o quasi) le toghe; e la necessità, per i magistrati, di attenersi alla nuova griglia valutativa introdotta col “fascicolo delle performance”, lo strumento comparativo che dovrà segnalare macroscopiche anomalie statistiche nell’esito dei provvedimenti di giudici e pm. O che almeno a tale obiettivo dovrebbe tendere secondo le intenzioni della legge delega approvata nella scorsa legislatura (e ancora in attesa dei decreti attuativi).

È la parte della riforma Cartabia che ha più direttamente innescato lo sciopero Anm della primavera scorsa. E non è certo irrilevante che un vertice del Consiglio superiore attento finora nel preservare un’immagine di equidistanza, di distacco dalla polemica quotidiana, abbia scelto di sbilanciarsi in senso positivo su quelle novità. Seppure con toni come sempre misurati e istituzionalmente impeccabili

Pinelli parte da una doppia constatazione, e da un richiamo non marginale al peso che le nuove norme sull’ordinamento giudiziario attribuiscono all’avvocatura. In generale, dice, è «positiva» l’introduzione di un criterio «di effettivo merito» nelle valutazioni di professionalità dei magistrati. Non più dunque la pregressa semplice verifica di “adeguatezza” a uno standard minimo, ma un giudizio “graduato”. E, aggiunge appunto Pinelli, rientra in un quadro valutativo più attendibile «l’apertura alla partecipazione degli avvocati nei Consigli giudiziari, che formulano tali valutazioni». Il contributo del Foro come garanzia di maggiore oggettività nei giudizi sugli “avanzamenti di carriera”, dunque, anziché come rischio di condizionamento, come invece vorrebbero le analisi proposte finora dalle correnti Anm.

Allo stesso modo il vicepresidente Csm approva la maggiore enfasi che, nelle scelte sugli incarichi direttivi, verrà attribuita alle «capacità organizzative». Dopodiché Pinelli introduce l’altra premessa: le novità contenute nella legge delega su Csm e ordinamento giudiziario potrebbero rivelarsi «di non facile attuazione pratica». Pronostico ampiamente condiviso, vista, per esempio, la complessità delle infrastrutture informatiche richieste per attuare norme come quella sul “fascicolo di valutazione”.

Ma fatte le due premesse, il vertice di Palazzo dei Marescialli è esplicito nel disegnare una prospettiva di rottura col passato, per i magistrati: «L’introduzione di valutazioni di effettivo merito deve essere salutata con favore: in primo luogo dalla stessa magistratura, la quale ha al propro interno delle vere e proprie eccellenze, che pure, con l’attuale sistema di valutazione, faticano a emergere». Perché certo, una gran parte delle toghe è «laboriosa» e «dinamica». Ma una gran parte. Non tutte le toghe senza eccezioni: il discorso cioè non può essere considerato valido «per la quasi integralità del corpo magistratuale, come oggi i dati delle progressioni di carriera vorrebbero rappresentare». È il celebre paradosso delle valutazioni finora tutte positive nel 99 per cento dei casi: bizzaria segnalata da tempo non solo dalla politica ma anche da figure chiave dell’ordine giudiziario come Gianni Canzio.

Nel suo discorso alla Fondazione Bachelet, Pinelli si è espresso, come detto, in termini pienamente favorevoli a un altro passaggio caratterizzante della riforma: il nesso fra valutazioni di professionalità ed eventuali clamorosi scostamenti statistici fra i provvedimenti assunti o proposti da giudici e pm e i relativi esiti nelle successive fasi del giudizio. Si tratta del “famigerato” fascicolo del magistrto, appunto: «L’idea di fondo del legislatore è apprezzabile, perché», ha detto il vicepresidente del Csm, «volgendosi alla collettività, è commisurata al commendevole intento di recuperare la credibilità della magistratura di fronte all’opinione pubblica, la quale fatica a comprendere talune vistose disfunzioni processuali». E lo scarto fra attesa e risposta di giustizia viene riferito in particolare, da Pinelli, a quel «40 per cento circa di processi penali che si conclude con una sentenza di assoluzione». Tradotto: se si rileva che in modo ricorrente un pm sollecita rinvii a giudizio “smentiti” poi dalle sentenze, il Csm non può considerare il dato con disinvolta nonchalance.

È il senso di quella parte della riforma Cartabia per la quale si particolarmente impegnato Enrico Costa, responsabile Giustizia di Azione: «Responsabilizzare la magistratura vuol dire, semplicemente, sensibilizzarla su questo tema che, se fa da sfondo all’esercizio della giurisdizione, non può in ogni caso essere sottovalutato». Pinelli ha giudicato accettabile l’equilibrio fra «qualità del servizio reso al cittadino» e «celerità della risposta» prefigurato dalla riforma dell’ordinamento giudiziario. Che, ha aggiunto, «nelle valutazioni di professionalità, a me sembra vada in questa direzione», cioè nel senso di non sacrificare «la qualità della determinazione assunta dal magistrato» ai tempi.

Di certo il nuovo Csm, ha assicurato il vertice di Palazzo dei Marescialli, «una volta terminato il percorso di raffinamento tramite la normativa secondaria», vale a dire i decreti attuativi, «farà la propria parte, con l’idea di adottare un meccanismo di effettivo merito nella progressione di carriera che, senza peccare di astrazione, tenga conto delle situazioni reali e dei dati di fatto che caratterizzano il magistrato». Una prospettiva di “apertura” su quello snodo delle valutazioni ingabbiato finora dal protezionismo corporativo.