Si lamentano in molti. Magistrati, forze dell’ordine, persino alcuni esponenti dell’avvocatura. Di fronte alle norme della riforma Cartabia, appena entrata in vigore, che rendono procedibili solo a querela alcuni reati, si assiste a una sorta di attacco di panico generalizzato, che muove dai Tribunali e rifluisce fatalmente sui media. Non solo sulle pagine di un giornale come il Fatto quotidiano, sempre intransigente nel rilevare qualsiasi attenuazione della morsa nel sistema penale, ma anche sul Corriere della Sera, che stamattina ha dedicato un ampio articolo ai casi degli ultimi giorni, in cui autori di reati come il furto non sono stati fermati perché mancava, appunto, la querela della vittima. Tra gli scontenti ci sono anche i carabinieri e i loro sindacati: è di poco fa la dichiarazione con cui il segretario di Unarma, Antonio Nicolosi, si lamenta per il fatto che «numerosi delitti contro la persona e il patrimonio possono essere perseguibili ora solo se la persona offesa sporge querela». Lo stesso sindacalista dell’Arma segnala poi anche un aspetto che nulla ha a che vedere con la selezione delle fattispecie contro cui concentrare l’azione repressiva: «Tra le novità introdotte dalla riforma c’è l’obbligo di affiancare alla trascrizione integrale degli interrogatori anche la loro registrazione audio-video, con strumenti tecnici di cui non siamo in possesso e per cui non abbiamo risorse al momento». Ai militari non piace l’idea che le dichiarazioni di indagati e persone informate sui fatti debbano essere documentate in modo inoppugnabili. Eppure dovrebbe essere una garanzia per tutti, no?

Ecco, forse l’obiezione dei carabinieri rende più nitidamente l’idea di un disagio legato anche, se non soprattutto, alla novità. C’è una crisi da adattamento alla riforma, potremmo dire. In cui in fondo ciascuno trova sgradevole una parte, e tutti si uniscono in un solo grande coro giustizialista. Scelta sempre a portata di mano e a buon mercato.

Ma davvero si poteva rinunciare alla modifica con cui si riduce (di pochissimo) lo spettro degli illeciti penali perseguibili d’ufficio?. Persino chi nella maggioranza è preoccupato per questa minima attenuazione della macchina repressiva, riconosce che la scelta è stata imposta dalle condizioni del sistema processuale. Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, primissima linea di Fratelli d’Italia, ha dichiarato al Fatto, ad esempio, che sì, il suo partito ha intenzione di «rivedere» la riforma Cartanbia, ma ha anche riconosciuto come l’intervento sul penale «ottiene il vantaggio della velocizzazione della giustizia». E soprattutto che si dive «tenere conto degli impegni presi in Europa in vista del Pnrr». Ridurre il carico dei fascicoli in modo da tagliare l’arretrato del 25% entro il 2026 è tra le condizioni richieste da Bruxelles per erogare i fondi del Next generatoin Eu. E l’esclusione della procedibilità d’ufficio per alcuni reati va esattamente in questa direzione.

Tecnicamente, va ricordato che le nuove norme lasciano 90 giorni alle vittime per formalizzare le accuse. A integrare la riforma Cartabia propriamente detta (costituita dalla legge delega 134 del 2021 e dal decreto legislativo che l’ha attuata, il 150 del 10 ottobre 2022) ha provveduto, com’è noto, il cosiddetto decreto “Rave”: nel provvedimento convertito in extremis, a fine dicembre, dal Parlamento, compaiono norme attuative anche della nuoiva “improcedibilità d’ufficio” per alcuni reati. In particolare è stato previsto che per i procedimenti già in corso, le misure cautelari personali intanto emesse perdano efficacia se, entro venti giorni dall’entrata in vigore delle nuove norme (quindi entro il 18 gennaio), l’autorità giudiziaria non riesce a rintracciare la vittima e a ottenere la denuncia. Una garanzia espressamente voluta dall’attuale guardasigilli Carlo Nordio, che ha ritenuto irragionevole trattenere magari in carcere indagati per delitti la cui perseguibilità rischiava di venire meno. Come ha spiegato a Repubblica la procuratrice generale di Bologna Lucia Musti, va rispettato Il «diritto» di «non scontare una limitazione della libertà personale senza i presupposti di legge». La pensanoi diversamente, ma era prevedibile, le deputate del Movimento 5 Stelle Stefania Ascari, Carla Giuliano, Valentina D'Orso e Giulia Sarti, secondo le quali quel termine di 20 giorni è «risibile».

Ma di quali reati si tratta? Oltre al furto (ma non in abitazione o quando consiste in uno scippo), ci sono violenza privata, violazione di domicilio, lesioni personali anche stradali, truffa, frode informatica, sequestro di persona semplice. Prendiamo il caso delle lesioni personali stradali, articolo 590 bis del codice penale: renderlo imperseguibile d’ufficio, come ricorda la relazione illustrativa della riforma Cartabia, risponde a una precisa sollecitazione della Consulta, contenuta nella sentenza costituzionale 248 del 2020.

Ma non va bene. In tanti, non tutti, continuano a tuonare contro i rischi della riforma. Ha giustamente detto Gian Luigi Gatta, il professore che è stato consigliere di Cartabia e fra gli autori dell’intervento sul penale: «Mi chiedo come, con questo clima, si possa mettere in cantiere una depenalizzazione o addirittura eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale come sento dire dal ministro Nordio». È esattamente così: da anni si parla di depenalizzare, e ne parla l’Anm innanzitutto. Non appena si interviene con una legge che neppure depenalizza (né quindi consente la scarcerazione dei “vecchi” condannati definitivi per quei reati) ma semplicemente limita la perseguibilità di alcuni delitti, si scatena il putiferio.

L’allarmismo giustizialista vince sempre. Fa sempre la voce grossa. Ma stavolta i vincoli e gli impegni assunti con l’Europa potrebbero rivelarsi più forti persino, udite udite, dell’irriducibile pulsione a risolvere col processo penale qualsiasi cosa.