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STEFANO CECCANTI
Professor Ceccanti, nel Manifesto che lei ha firmato si parla di un Pd che sia «un partito modernamente laburista». Che significa? Il Labour è il primo partito di sinistra che non compete solo per la rappresentanza ma anche per governare esprimendo il premier. Sperimenta il passaggio dalla rappresentanza sociale alla vocazione maggioritaria, mentre in altri Paesi gli analoghi partiti erano intrisi di massimalismo di opposizione. In anni recenti quel partito è stato preda di un accentuato conservatorismo di sinistra a cui spesso si cede istintivamente quando si è inviati all’opposizione con una damnatio memoriae per il periodo precedente di governo. Con la leadership di Starmer è tornato ad essere punto di riferimento ineludibile perché tiene insieme la volontà effettiva di tornare al governo, senza quindi più derive minoritarie, senza però nostalgie per le fasi precedenti di governo, anch’esse superate. Volete un partito forte sul territorio. Può essere Bonaccini l’uomo giusto per il nuovo Pd? Non abbiamo preparato un manifesto per sostenere un candidato. Più avanti ci confronteremo anche su questo, a partire da mercoledì a Roma. Se vuole una risposta personale a me sembra che Bonaccini, tra i candidati che si sono già dichiarati, rappresenti quello con leadership di governo più ampia e sperimentata. Cercando di non fare confusione, come invece è avvenuto nella prima riunione del Comitato costituente del Pd tra l’aggiornamento del Manifesto che richiede un lavoro tendenzialmente unanime e il legittimo conflitto tra candidati e mozioni. In politica estera vi schierate senza se e senza ma con Kiev, eppure tre eurodeputati Pd hanno votato in dissenso sulla Russia sponsor del terrorismo. Che ne pensa? Il vero discrimine è quello che individua nel sostegno a Kiev, anche militare, la base per la pace giusta. Resto stupito che quando la maggioranza di un gruppo su un voto decisivo si sia chiaramente manifestata all’interno non ci sia poi unità nel voto, ferma la libertà di esplicitare in pubblico i dissensi. Ho trovato debole la motivazione usata da alcuni, secondo cui dove si è eletti con la preferenza non si sia tenuti a disciplina. Segnalo che il gruppo della Camera della Dc, partito molto liberale sui comportamenti di voto, in un periodo in cui i deputati erano eletti con le preferenze, sotto la presidenza di una persona non rigida come Aldo Moro, non esitò a far espellere Melloni e Bartesaghi per il voto in dissenso su una scelta di politica estera e militare nel dicembre 1954 perché era ritenuto impensabile. Non invoco espulsioni ma chiedo di prendere sul serio la disciplina.
Parlate anche di disuguaglianze che si coniughino con il benessere. Come si traduce tutto ciò oggi? Sulle policies è meglio rinviare alla lettura diretta del manifesto. Il punto di metodo è pensare la riduzione delle disuguaglianze dentro una logica di crescita, non a somma zero. Per avere un approccio moderno ed equilibrato va tenuta insieme l’apertura sociale al bisogno e la valorizzazione del merito. Occuparsi solo del bisogno significa snaturare la funzione di un partito di governo che è efficace nel redistribuire se contribuisce a creare ricchezza. Concentrarsi solo sul merito significherebbe all’opposto registrare come meriti solo quelli che derivano da posizioni di vantaggio. Nel paragrafo sulla giustizia diete di voler modificare l’abuso d’ufficio. In che modo? È evidente che come è attualmente formulato l’abuso di ufficio, con condanne frequenti in primo grado smentite ai livelli successivi di giudizio ma che intanto producono sospensioni di amministratori eletti dai cittadini il sistema non tiene. Poi ragioniamo laicamente su come modificarlo ma io credo che per un amministratore il peggiore peccato dovrebbe essere considerato quello di omissione. C’è poi la questione legge elettorale. Riuscirà il paese a dotarsi di una legge elettorale stabile? Sarebbe auspicabile stabilizzare bene legge elettorale e forma di governo. Ci siamo riusciti dagli anni ’ 90 per Comuni e Regioni credo sia possibile in modo analogo, anche se non identico per il livello nazionale. Il documento ritiene preferibile un premio ragionevole che garantisca una maggioranza certa, ma restando sotto ai quorum di garanzia e di perfezionare la forma di governo disincentivando le crisi, in particolare consentendo al presidente del Consiglio di chiedere e ottenere elezioni anticipate qualora sconfitto sulla fiducia. Veniamo al Pd: cosa serve al partito per ripartire?
Anzitutto una leadership forte e riconosciuta, in sintonia con gli elettori reali e potenziali. Per questo speriamo che il tempo da qui alle primarie aperte del 19 febbraio possa volare. Da lì si riparte.