«È una sentenza in aperta violazione del diritto di difesa e dei principi costituzionali di formazione della prova nel processo. Perfino durante il dibattimento, l’imputato e la difesa non hanno potuto conoscere gli elementi a carico», affermano gli avvocati Roberto De Vita ed Antonio Laudisa, difensori del capitano di fregata Walter Biot, condannato la scorsa settimana dal tribunale militare di Roma a 30 anni di reclusione per aver consegnato atti coperti dal segreto ad un funzionario dell'ambasciata russa.

La precisazione dei difensori riguarda proprio questi documenti segreti e i dispositivi digitali dove erano stati salvati, una scheda di memoria ed uno smartphone. Leggendo il capo d'imputazione, a Biot era contestato di avere, a scopo di spionaggio, acquisito presso il ministero della Difesa dei documenti Nato top secret concernenti una non meglio specificata "preparazione e difesa militare dello Stato”, per poi cederli al predetto funzionario russo in cambio di 5000 euro.

Le difese di Biot nei mesi scorsi avevano presentato una istanza al tribunale militare e alla Corte d’assise di Roma, dove è incardinato un altro processo a carico dell’ufficiale, ai fini dell’ostensibilità di tali documenti che non era stato possibile visionare. Per la normativa sul segreto, infatti, è necessario avere preventivo nulla osta da parte della Nato per il tramite del presidente del Consiglio.

La Corte d’assise aveva dato seguito all’istanza dei legali dell'ufficiale, chiedendo quindi al presidente del Consiglio dei ministri «di verificare ed avere conferma circa l’esistenza del segreto Nato, per consentire le valutazioni in ordine al processo a carico di Biot, attualmente in stato detentivo». Di tutto altro genere, invece, era stata la risposta del tribunale militare il quale, «rilevato che dall’attività istruttoria sin qui compiuta sono emersi elementi in ordine alla non ostensibilità dei documenti di cui all’imputazione anche all’Autorità giudiziaria; che in ogni caso rientra nei poteri del Collegio, qualora venisse ritenuto necessario per la decisione, disporre in esito all’istruttoria dibattimentale qualunque ulteriore accertamento, ivi compreso quello sollecitato dalla difesa; ritenuto di dover assicurare in ogni caso l’osservanza del principio di ragionevole durata del processo», rigettava la richiesta avanzata, disponendo procedersi oltre nel dibattimento.

Alla difesa di Biot, comunque, non solo non venivano fatti visionare i documenti classificati Nato, ma anche quelli senza alcuna classificazione. In altri termini una contestazione al “buio”. «Dopo due anni Biot è ancora costretto a confrontarsi con la forma dell’accusa senza poter conoscere la sostanza della prova», hanno quindi aggiunto gli avvocati De Vita e Laudisa, annunciando di volere continuare «la battaglia di giustizia e di civiltà giuridica, affinché gli ineludibili principi della Costituzione vengano rispettati anche in una vicenda così complessa, in cui la straordinarietà del caso e del momento storico rendono ancor più difficile il bilanciamento tra Stato di diritto e ragion di Stato».