«Io non avevo alcun interesse a colpire nessuno, né interessi nelle nomine, né sugli incarichi. Non ho mai chiesto a Palamara alcuna prebenda e non gli ho consegnato atti, non gli ho dato nulla. Né volevo fare alcuna “campagna mediatica'”. Volevo solo adempiere ai miei doveri d'ufficio». A dirlo l'ex pm di Roma Stefano Rocco Fava, ora giudice civile a Latina, nel corso dell'esame in aula nel processo nato dal filone di inchiesta della procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, sulle rivelazioni dove è  imputato insieme all'ex magistrato Luca Palamara.

Nel processo, che si è aperto il 19 gennaio di un anno fa, a Palamara e a Fava viene contestato di aver rivelato notizie d'ufficio «che sarebbero dovute rimanere segrete», e in particolare «che Fava aveva predisposto una misura cautelare nei confronti di Amara per il delitto di autoriciclaggio e che anche in relazione a tale misura il procuratore della Repubblica non aveva apposto il visto». Nel procedimento, che vede il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo parte civile, Fava è accusato anche di accesso abusivo a sistema informatico e abuso d'ufficio per essersi "abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d'udienza e della sentenza di un procedimento". Fatto che secondo i pm avveniva «per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita».

L’obiettivo di Fava, secondo l'atto di accusa «era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, da poco cessato dall'incarico di procuratore di Roma e dell'aggiunto Paolo Ielo» da effettuarsi anche con "l'ausilio" di Palamara «a cui consegnava tutto l'incartamento indebitamente acquisito». Fava, rispondendo alle domande dei pm della procura di Perugia Gemma Miliani e Mario Formisano, ha detto che «Ielo tra fine aprile e maggio era venuto nel mio ufficio dicendomi che alcuni giornalisti gli avevano chiesto conto degli incarichi di suo fratello in Eni e Condotte e mi disse di verificare la correttezza del suo modo di procedere nel procedimento relativo a Brunella Bruno (poi assolta ndr). Ielo mi ha detto di verificare, non mi ha detto vai al Tiap, ma per fare quella verifica - ha detto Fava - cosa avrei dovuto fare?''.

Interpellato dai pm perugini su quanto riferito in sede di interrogatorio sulla consegna a Palamara di allegati all'esposto, Fava ha precisato che, ascoltando successivamente i file audio dell'inchiesta, ''ho capito di non averli mai consegnati a Palamara. Ho fornito una giustificazione a un fatto che non ho commesso. Lui era a conoscenza, come anche i giornalisti e alcuni consiglieri del Csm, degli incarichi che gli amministratori di Condotte avevano dato al fratello di Ielo. Io ho parlato di quella sentenza, del fatto che non era stata appellata, è stato un dialogo, un pourparler con Palamara: gli ho fatto vedere la sentenza su Brunella Bruno, gli estratti degli incarichi a Condotte, ma non glieli ho consegnati. Non ho mai rivelato a Palamara una notizia coperta da segreto e lui non mi ha mai chiesto niente».

Fava nel corso dell'esame in aula ha ribadito di non essere stato lui a dare la notizia dell'esposto al Csm ai giornalisti del Fatto Quotidiano e della Verità. «Non sono stato io, non sono un indovino e non posso sapere dove hanno preso queste notizie», ha spiegato l'ex pm. «Tra me e Ielo non c'era nulla di personale ma una divergenza di vedute su Piero Amara e sui provvedimenti da adottare nei suoi confronti. Un contrasto che si è radicalizzato nel gennaio 2019, poi Pignatone mi negò il visto dandomi delle alternative e lì il contrasto non si è più ricomposto», ha sottolineato. Nella prossima udienza, il 17 maggio andrà avanti l'esame e si terrà il controesame di Fava. Palamara ha rinunciato a sottoporsi all'esame riservandosi dichiarazioni spontanee. (a. c./adnkronos)