Nelle controversie concernenti il recupero di crediti derivanti da prestazioni professionali, è onere del professionista dimostrare di aver accettato l’incarico, di averlo effettivamente eseguito e di delineare chiaramente le attività svolte. Questo principio è stato ribadito dalla Cassazione nell’ordinanza n. 9314 dell’ 8 aprile scorso. Il caso riguarda due avvocati che hanno presentato una richiesta di pagamento dei compensi per le loro prestazioni professionali, per un importo di 17.401,24 euro, relative a due casi civili conclusi in primo grado e in appello. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Genova hanno respinto la richiesta dei legali, sostenendo che le somme richieste fossero eccessive rispetto al valore della controversia e all’importo liquidato dal giudice alla parte vincitrice. Inoltre, è stato evidenziato che gli avvocati non hanno specificato adeguatamente le loro pretese attraverso la redazione di una notula contenente un elenco dettagliato delle attività svolte, un requisito ritenuto fondamentale prima ancora che un obbligo di prova. La Corte d’Appello ha ritenuto che l’indicazione delle attività dovesse essere fornita tempestivamente, una contestazione respinta dai ricorrenti, che hanno sostenuto come l’indisponibilità dei fascicoli avesse impedito la presentazione puntuale della documentazione. I ricorrenti hanno presentato un ricorso congiunto in Cassazione contro la sentenza d’appello. Le loro argomentazioni si basavano su due principali punti: la presunta valutazione errata del compenso richiesto e il ritardo nella presentazione dell’elenco delle attività a causa dell’indisponibilità dei fascicoli. La Corte di Cassazione ha accolto l’impugnazione dei ricorrenti e ha ribaltato la situazione, fornendo una serie di precisazioni importanti. In primo luogo, ha sottolineato che è responsabilità del professionista dimostrare il conferimento dell’incarico, l’effettiva esecuzione dello stesso e l’entità delle prestazioni.

Nel caso specifico dei due avvocati, la produzione dei fascicoli, richiesta dal giudice e ottenuta in base all’articolo 210 del c. p. c., ha fugato ogni dubbio in merito, permettendo di verificare le attività svolte durante il processo. Inoltre, la Suprema corte ha precisato che la parcella dell’avvocato, sebbene supportata dal parere dell’Ordine professionale di appartenenza, non è sufficiente per confermare il credito. Il professionista deve fornire prove concrete delle prestazioni effettuate. Una conclusione importante emersa dalla decisione riguarda l’elenco delle attività difensive nella parcella, che non è considerato un onere soggetto a preclusioni, ma piuttosto un’esposizione delle attività difensive, anche nella comparsa conclusiva.

Infine, richiamando normative specifiche come l’articolo 5 del Decreto ministeriale 127/ 2004, si è chiarito che la liquidazione degli onorari deve considerare la natura e il valore della controversia, nonché l’attività svolta dall’avvocato davanti al giudice. È stato ribadito che il cliente è tenuto al pagamento degli onorari, indipendentemente dalle spese giudiziarie. In conclusione, la sentenza della Corte d’Appello di Genova è stata cassata con rinvio alla stessa Corte per un nuovo giudizio da attribuire a un collegio diversamente composto.