Il 28 maggio 1974 a Brescia in Piazza della Loggia alle dieci e dodici del mattino esplodeva un ordigno, mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo fascista: otto persone morirono e altre centodue rimasero ferite. Fu la strage di Piazza della Loggia: seguirono tre processi a distanza di lungo tempo l’uno dall’altro. A quasi 50 anni, il prossimo 26 settembre la quinta sezione della Corte di Cassazione deciderà il ricorso di Maurizio Tramonte, contro la sentenza della Corte d’Appello di Brescia, che ha rigettato la sua richiesta di revisione della condanna all’ergastolo, presentata dai suoi avvocati Baldassare Lauria e Pardo Cellini, anche fondatori della Fondazione Giuseppe Gulotta, l’ergastolano della Strage di Alkamar del 27 gennaio 1976 poi assolto dopo 36 anni di errori giudiziari. Oggetto della revisione era la sentenza della Corte di assise di appello di Milano, intervenuta successivamente al rinvio della Corte di Cassazione, dopo che nel 2014 Tramonte fu assolto nel doppio grado del giudizio di merito.

Ribaltato il verdetto, per la Corte milanese Tramonte era presente in Piazza della Loggia nel momento dell’esplosione. Questa, la nuova circostanza che ritennero fondata sulla testimonianza di Vincenzo Arrigo, anche gravato da una condanna per calunnia: fu Arrigo a riferire di avere appreso dal Tramonte, durante la comune detenzione nel 2003 al Verziano di Brescia, della sua presenza in Piazza della Loggia al momento dell’attentato, tanto che si sarebbe lui stesso identificato in una foto pubblicata sui giornali di allora tra le persone presenti. La foto in questione non può tuttavia non considerarsi un “colpo di scena”, che potrebbe aver cambiato le sorti del processo: una novità, infatti, che venne acquisita nel 2013 su richiesta dell’accusa.

Vincenzo Arrigo invece non era una novità nel processo per la strage: aveva infatti chiesto di essere sentito dal pubblico ministero nel 2004 riferendo l’esatto contrario, cioè, che Tramonte non si sarebbe identificato nella foto del giornale mostratogli. Nella sentenza sottoposta a revisione, fu scritto che «nessuno si è presentato in aula per smentire Arrigo…» : per i giudici milanesi l’individuo della foto era senz’altro Maurizio Tramonte. Per la cronaca, va anche detto che Arrigo, che con le sue due dichiarazioni contrarie aveva cambiato versione, fu assassinato nel 2020; impossibile pertanto risentirlo.

Davanti alla Corte di appello di Brescia, la partecipazione alla riunione di Abano Terme del 25 maggio e la presenza in Piazza della Loggia il giorno della strage sono state le circostanze che hanno interessato le nuove prove portate dalla difesa di Tramonte: in particolare le dichiarazioni testimoniali della sorella e della moglie, oltre a una consulenza. Entrambe le testimoni hanno negato che il soggetto effigiato in quella foto fosse Tramonte.

Con la consulenza antropometrica, che utilizzando una nuova tecnologia al tempo non disponibile si confermerebbero le due testimonianze, la difesa aveva ritenuto di poter provare che il ragazzo della foto, che all’epoca dei fatti pareva poco più che maggiorenne, non sarebbe stato Tramonte. Acquisite solo le testimonianze, le prove non sono apparse convincenti per la Corte a scardinare l’attendibilità delle dichiarazioni di Arrigo: «Le nuove testimonianze non provano che il soggetto indicato da Arrigo nella fotografia non sia Tramonte, ma soprattutto non incrinano la valutazione della credibilità del teste effettuata nella sentenza di cui è chiesta la revisione…».

Alla lettura della condanna gli avvocati Lauria e Cellini avevano osservato che «i giudici bresciani non sarebbero stati imparziali né indipendenti». Tra i motivi del ricorso, anche la questione di nullità della sentenza per incompetenza funzionale della Corte di appello di Brescia: la difesa si era infatti inizialmente rivolta alla Corte d’appello di Venezia per chiedere la revisione, ritenendola competente a decidere.

Secondo i difensori Lauria e Cellini, la Corte bresciana non avrebbe potuto decidere della revisione di un proprio giudicato, formato su un tema d’accusa ritenuto antecedente logico e giuridico per la responsabilità dell’imputato - cioè quello sulla provenienza dell’esplosivo utilizzato per la strage e la sua movimentazione verso Brescia. Una violazione della ratio ispiratrice della riforma del giudizio di revisione e su cui la difesa di Tramonte ha insistito, senza ottenere che fosse esaminata nel contraddittorio delle parti. Non solo, «nonostante sia stato richiesto l’esame del nostro assistito, la Corte ha ritenuto la superfluità di esso: pensiamo che sia una decisione del tutto arbitraria, contraria ai principi del giusto processo garantito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo» - hanno dichiarato i difensori.

Del resto anche solo dalla collocazione codicistica dell’esame dell’imputato, questo dovrebbe potersi ritenere anche strumento di difesa, oltre che mezzo di prova. A dire il vero anche davanti alla Corte d’Appello milanese, nel giudizio di rinvio, sebbene fu richiesto, a Tramonte fu negata la “difesa diretta”. Pur vicini al suo cinquantesimo anniversario, la strada della giustizia sulla strage di Piazza della Loggia è ancora aperta, almeno per quanto riguarda la vicenda di Maurizio Tramonte.

Storia lunga quella della giustizia per la strage di Brescia, fatta di depistaggi da parte di uomini dello Stato, di carte tenute segrete nell’” interesse” della democrazia. «Le indagini per la strage di Piazza della Loggia d’altro canto si sono protratte per decenni e sono state caratterizzate da omissioni e depistaggi...»: è quanto scrive la Corte bresciana, che ha rigettato la revisione.