Nell’attuale dibattito sul “fine vita” merita di essere segnalato l’appello lanciato dal “Centro Studi Rosario Livatino”, l’associazione che riunisce magistrati, avvocati, docenti universitari che si ispirano alla testimonianza etica e professionale del magistrato ucciso da Cosa Nostra nel 1990 mentre si recava al lavoro al Tribunale di Agrigento e per il quale è stata avviata la causa di beatificazione.

Presidente dell’associazione è Mauro Ronco, docente di diritto penale all’Università di Padova, vice presidenti Domenico Airoma, Procuratore Aggiunto al Tribunale di Napoli Nord e Alfredo Mantovano, Giudice della Corte di appello di Roma ed ex sottosegretario di Stato all’Interno.

Lo scorso 16 febbraio la proposta di legge sulla “Dichiarazione anticipata di trattamento” è stata approvata dalla XII Commissione della Camera ed inviata all’Aula per la discussione. E’ una proposta, si legge nell’appello, «che non adopera neanche una volta il termine eutanasia, ma che ne ha in tutto e per tutto la sostanza».

Area, il cartello delle magistratura progressista, ha già espresso la sua opinione in favore di una riforma legislativa che consenta anche in Italia la possibilità di porre fine alla propria esistenza nei casi in cui non si voglia più continuare a vivere.

Le toghe “moderate”, non prendendo apertamente posizione, hanno invece accolto con favore l’appello del Centro Studi Livatino anche per, come scrive un magistrato, non «subire l’egemonia ideologica radical- libertaria». La presa di posizione ufficiale dei colleghi di Area sul punto è stata stigmatizzata. Il magistrato, soprattutto con una discussione parlamentare in corso su una materia delicata che tocca la sensibilità personale, dovrebbe improntare il suo comportamento “al riserbo”.

Al riguardo, «il dibattito sul tema della disponibilità della vita umana malata e morente si è tradotta in un disegno di legge dal testo raffazzonato e ambiguo, accompagnato sui media dalla strumentalizzazione politica di un dolentissimo caso di suicidio che meritava pietà e silenzio ed è stato, invece, volutamente utilizzato come passe- partout per propugnare il provvedimento sulle disposizioni anticipate di trattamento». In sostanza, «con il provvedimento in discussione si vuole riconoscere da parte dell’ordinamento la libertà di togliersi la vita e un domani, come attribuzione a terzi e allo Stato stesso, del potere attivo di decidere di spegnere anche senza consenso vite ritenute indegne o inutili».