IL LIBRO DI PAOLO ARMAROLI

l teatro della democrazia, vale a dire il nostro Parlamento, è bene che non spenga mai le luci. Perché, einaudianamente, è consigliabile che anche i cittadini conoscano prima di deliberare. Ed è un vero peccato che, soprattutto nei mesi di marzo e aprile 2020, le luci si siano parecchio abbassate per il timore del contagio.

M Lasciamo accese le luci del Parlamento: è un bene per i cittadini

COSTITUZIONALISTA

Il teatro della democrazia, vale a dire il nostro Parlamento, è bene che non spenga mai le luci. Perché, einaudianamente, è consigliabile che anche i cittadini conoscano prima di deliberare. Ed è un vero peccato che, soprattutto nei mesi di marzo e aprile di quest'anno, le luci si siano parecchio abbassate per il timore del contagio. Ma va reso merito al presidente del Senato Casellati e all’omologo della Camera Fico di non essersi rassegnati al lavoro agile. Ossia al lavoro da casa. Se i parlamentari sono tenuti a distanza, il Parlamento diventa un’altra cosa. Se le luci della ribalta si spegnessero una dopo l’altra, correremmo un brutto rischio. Perché Montecitorio e Palazzo Madama si potrebbero trasformare in musei nei quali i visitatori avrebbero modo di riflettere sulla civiltà del tempo andato. Anche se, siamo giusti, non è un bel vedere causa Covid deputati piazzati un po’ in aula, un po’ relegati nelle tribune e un po' disseminati nel Transatlantico. lnterdetto alla stampa parlamentare, come agli inizi del secolo scorso. Scene - quelle dei deputati un po’ qua e un po’ là, al pari dei senatori - di una tristezza infinita. Perché la politica non si fa solo in commissione e in assemblea, ma anche passeggiando su e giù a braccetto con un collega per cercare di risolvere un problema. O dandosi appuntamento nella Corea, il corridoio parallelo al Transatlantico dove minori sono gli occhi indiscreti. O in salette di commissione deserte, dove s’incontrarono almeno un paio di volte Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante, come racconta in un bel libro Antonio Padellaro.

Tutto il contrario, invece, si può dire del Colle. Se il palcoscenico del Quirinale è vuoto e il Presidente se ne sta dietro le quinte, è un buon segno. Vuol dire che non c’è da stare all'erta. Significa che non siamo in stato di precrisi o di crisi ministeriale. E tutto procede per il meglio. Si fa per dire. Perché nessuno come noi italiani riesce a complicarsi la vita, divisi come siamo tra guelfi è ghibellini.

Andreotti la vedeva diversamente. Uomo della cosiddetta Prima Repubblica, qual era dalla testa ai piedi, sosteneva che se l'ltalia si spacca, non si divide in due ma va in mille pezzi. Tuttavia il divo Giulio è stato smentito dall’altrettanto cosiddetta Seconda Repubblica, la quale nel 1994 - grazie al sistema elettorale battezzato da Giovanni Sartori Mattarellum, per tre quarti maggioritario con collegi uninominali a un turno come nel Regno Unito e per il restante quarto proporzionale, e alla discesa in campo di Silvio Berlusconi per contrastare la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto - ci ha regalato la bicicletta del bipolarismo e ha consentito agli elettori di scegliersi maggioranza e governo.

Non è stata una conquista da poco. Certo, come costituzionalisti, egoisticamente ci dispiace che sul palcoscenico del Quirinale sia calato il sipario. Ma, vedrete, prima o poi il sipario si solleverà di nuovo. È solo questione di tempo. Alle fatiche di Sisifo, del resto, Mattarella ha fatto l’abitudine. Non a caso si è iscritto all'Accademia del Cimento.

Montanelli sosteneva che in Italia può capitare di tutto: anche niente. Non è successo niente, quanto meno rispetto alle aspettative del centrodestra. L’unica regione strappata al centrosinistra, le Marche, per merito della Meloni. Ma questo risultato elettorale ha avuto immediati riflessi sul piano delle istituzioni. Alla luce dei sondaggi, Conte ha temuto il peggio. ll voto, invece, lo ha rafforzato. Tant’è che, senza farsi pregare, ha subito dichiarato urbi et orbi che rimarrà in sella ? no alla scadenza naturale della legislatura. Proprio così: “Durerò fino al 2023”. Non solo l'opposizione ma perfino qualche segmento della maggioranza non hanno fatto, per usare un eufemismo, salti di gioia. Nel timore che più lui sale e più loro scendono. Non a caso, PD e M55 reclamano, per usare un lessico da Prima Repubblica, “più collegialità”.

Sul Corriere della Sera del 21 settembre Francesco Verderami sottolinea assai bene una situazione ambivalente come le facce di Giano. Osserva: “Le urne non erano ancora chiuse che già si metteva le medaglie al collo. Conte - unico caso di vincitore che non partecipa alla competizione - ieri si è congratulato con sé stesso mentre indossava il premio per il successo del referendum ottenuto da Di Ma- io e quello per le Regionali ottenuto da Zingaretti”. Ma poi aggiunge: «Non c’è dubbio che il voto stabi- lizzi il governo, ma se è vero che le medaglie hanno due facce, l'altro risvolto della s? da elettorale impone al premier di porre attenzione di qui in avanti alle iniziative dei partiti che lo sorreggono e alle reazioni delle Camere che gli danno la ? du cia». Tutto è fermo e tutto è in movimento. Se Conte e Zingaretti sono al settimo cielo, Di Maio è in caduta libera. E la Caporetto pentastellata, soprattutto dopo il si al referendum costituzionale, potrebbe indurre in tentazione diversi parlamentari grillini. Con la speranza di salvare in futuro il seggio passando a un centrodestra che, elezione dopo elezione, avanza. A ogni buon conto, all'anomalia politica rappresentata da un Parlamento sempre meno espressivo del Paese reale, si aggiunge l’anomalia istituzionale di un Parlamento i cui componenti contrastano con il responso referendario. Ma queste anomalie, che saltano subito all’occhio, non sono suf? cienti per indurre il capo dello Stato a un anticipato scioglimento delle Camere. La regola della forma di governo parlamentare è chiara: ? nché sussiste una maggioranza, il governo ha titolo per andare avanti. E anche nell’ipotesi che il centrodestra avesse fatto cappotto un po’ dappertutto - come ha rilevato tra gli altri Ugo Magri su La Stampa del 30 agosto e del 21 settembre - solo un collasso della maggioranza avrebbe potuto propiziare un ritorno anticipato alle urne. Stando così le cose, Mattarella, nelle sue vesti di commissario alle crisi ministeriali non ha motivo di affacciarsi sul palcoscenico del Quirinale. Mentre l'altro Mattarella, il rappresentante dell’unità nazionale, continuerà a esercitare la sua funzione pedagogica. Sotto quest’ultimo profilo, non c'è dubbio che il Presidente avrà ancora molte cose da dire e da fare. Più che sul palcoscenico, dietro le quinte del Quirinale.

vivere le istituzioni

SE I PARLAMENTARI SONO TENUTI A DISTANZA, IL PARLAMENTO DIVENTA UN’ALTRA COSA.

SE LE LUCI DELLA RIBALTA SI SPEGNESSERO UNA DOPO L’ALTRA, CORREREMMO UN BRUTTO RISCHIO. PERCHÉ MONTECITORIO E PALAZZO MADAMA SI POTREBBERO TRASFORMARE IN MUSEI NEI QUALI I VISITATORI AVREBBERO MODO DI RIFLETTERE SULLA CIVILTÀ DEL TEMPO ANDATO