Domandiamoci perché mai il sottosegretario Andrea Delmastro dovrebbe dimettersi. Forse perché in gennaio un deputato dell’opposizione l’ha denunciato alla procura, che del resto lo voleva archiviare. Ma forse perché alla fine un giudice l’ha rinviato a giudizio, e quindi è ormai come fosse stato condannato in Cassazione. Naturalmente nessuno ha il coraggio di chiedere le dimissioni per questo, più comodo il virtuoso “per ragioni di opportunità politica”, ma la verità è invece proprio quella. Perché, gira e rigira, continuano a essere i magistrati a decidere le sorti della politica. Si invertono i ruoli, a volte, lo vediamo proprio nel caso del sottosegretario Andrea Delmastro. Prima addirittura la denuncia da parte di uno da cui in passato non te lo saresti mai aspettato, il verde Angelo Bonelli, ormai più di casa in procura che in Parlamento.

E poi, dopo il rinvio a giudizio del rappresentante del governo, un Pd sempre più affetto da grillismo acuto, pronto con la richiesta delle dimissioni tra le mani. E infine, a latere della vicenda, troviamo in aula a Montecitorio come antagonista sulla giustizia del ministro Guido Crosetto, nell’inedita veste di scudiero delle toghe militanti, niente di meno che Benedetto Della Vedova, un esponente radicale di sicura tradizione liberale.

È impressionante la delega in bianco che ormai quasi tutte le forze politiche, con l’eccezione per ora di Forza Italia e qualche singolo come Roberto Giachetti e Enrico Costa, continuano ad assegnare alla magistratura, non sulle questioni giudiziarie, che sarebbe normale, ma proprio sulla politica, le riforme, le candidature. La vicenda che nella prossima primavera vedrà a processo il sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro, nasce da una nobile protesta carceraria e dal successivo pasticcio parlamentare che ha visto come protagonisti contrapposti gli uomini di Fratelli d’Italia e quelli del Partito democratico.

La nobile protesta era quella dell’anarchico Alfredo Cospito, il quale con fierezza ha spinto il proprio digiuno fin quasi alla fine dei suoi giorni per porre all’attenzione pubblica la disumanità e la ferocia ai limiti della tortura del trattamento penitenziario da lui subito. Ormai tutti sanno, e lo si è visto scritto persino sui muri di alcune città, che cosa sia l’applicazione dell’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. È un trattamento che ha il compito di rendere la detenzione del singolo carcerato “impermeabile”, in modo da impedirgli di comunicare con l’esterno. Viene applicato in genere ai mafiosi per evitare che i boss possano dall’interno del carcere commissionare delitti e stragi a chi sta fuori. L’anarchico Cospito riteneva ingiusta l’applicazione di quelle limitazioni disumane alla sua persona, ma da bravo militante protestava con lo sciopero della fame anche contro l’esistenza stessa di quell’articolo dell’ordinamento.

Il pasticcio era nato, verso la fine di gennaio di quest’anno, dal fatto che una delegazione del Pd ad alto livello (l’ex ministro Andrea Orlando, Deborah Serracchiani, Walter Verini e Silvio Lai), andata in carcere da Cospito per puri motivi umanitari, si sia trovata invischiata in una protesta dalla quale sul piano politico era lontana anni luce. Al Pd infatti l’articolo 41-bis piace moltissimo, nel nome della lotta alla mafia. E quando in Parlamento il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli, nel pasticcio delle informazioni avute più o meno di straforo dal coabitante di casa e di partito Andrea Delmastro ha chiesto, con un certo piglio garibaldino, se quel partito stesse per caso dalla parte dei terroristi e dei mafiosi, ha veramente preso una cantonata. E quelli del Pd si sono offesi. Perché, se nobile era la battaglia dell’anarchico Cospito che, per forza di cose, si era ritrovato alleato anche di mafiosi e camorristi con lo stesso problema, ben poco nobile è quella tra partiti che si rinfacciano l’un l’altro di essere poco muscolosi nella lotta alla mafia con metodi disumani. Si chiamino questi articolo 41-bis piuttosto che ergastolo ostativo. Si potrebbero mettere d’accordo, Fratelli d’Italia e Pd, tanto su quello la pensano allo stesso modo.

Invece no, perché uno è il partito di esprime anche la premier, e l’altro è la principale forza d’opposizione. Ambedue ormai del tutto intrisi della sub-cultura del grillismo e del travaglismo, due correnti nate nell’ignoranza totale rispetto alle regole dello Stato di diritto. Il sottosegretario Delmastro di FdI la pensa come lei, onorevole Serracchiani, responsabile giustizia del Pd.

Al suo partito conviene che lui resti in quel ministero in cui il guardasigilli Carlo Nordio e il suo vice Francesco Paolo Sisto devono parere, a lei e a lui, due pericolosi sovversivi per eccesso di garantismo. Lasciate perdere quindi la richiesta di dimissioni. Vi è andata bene una volta sola, nel 1995 con il ministro Filippo Mancuso, persona per bene da voi silurata perché aveva mandato gli ispettori al pool di Milano. Il resto è stato fallimentare. Lasciate perdere e soprattutto non dite bugie, non c’è nessun motivo politico, c’è un rinvio a giudizio e la delega in bianco, oggi come ieri, che continuate ad affidare alle toghe.