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Luigi Salvato, procuratore generale presso la Corte di Cassazione
«Sono moderatamente ottimista che la giurisprudenza riuscirà a fugare preoccupazioni e dubbi». Il procuratore generale della Cassazione Luigi Salvato, chiamato nei giorni scorsi in audizione alla Camera sulla proposta di riforma del reato di abuso d’ufficio, getta acqua sul fuoco, confidando nel fatto che i magistrati riusciranno, a legislazione vigente, a scongiurare la “paura della firma” nei pubblici amministratori. A parte la riforma presentata la scorsa settimana dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha abolito il reato, sono attualmente già incardinati alla Camera quattro disegni sull’abuso d'ufficio. Due ne propongono l’abolizione, ritenendo non significativo il vuoto di tutela che si determinerebbe, in quanto i vantaggi sarebbero superiori agli inconvenienti, uno propone di configurare l’abuso d’ufficio come fattispecie punita con sanzione amministrativa, e l’ultimo propone invece una riscrittura volta a cancellare l’abuso cosiddetto “di vantaggio” ed a rafforzare l’elemento soggettivo, rendendo la violazione dell’obbligo di astensione punibile solo se “consapevole”.
Per i proponenti, l'attuale articolo 323 sarebbe caratterizzato da una difettosa formulazione, lesiva dell’esigenza di determinatezza, con l’effetto dell'intromissione della magistratura nella sfera di attività riservata alla pa. Per Salvato, invece, l'ultima configurazione ha escluso la configurabilità del delitto qualora «la condotta del pubblico ufficiale costituisca espressione di discrezionalità amministrativa o anche tecnica, richiedendo la violazione di regole cogenti per l'azione amministrativa fissate dalla legge, specificamente disegnate in termini completi e puntuali». Ed ecco, dunque, arrivare la Cassazione che, come ricordato dal procuratore generale, «ha ritenuto irrilevante l’eccesso di potere, sotto forma di sviamento, laddove il potere risulti caratterizzato dalla presenza di margini di discrezionalità» e «ha ritenuto irrilevante la violazione delle norme solo procedimentali, come l'adozione di un provvedimento recante una motivazione incompleta ovvero insufficiente, in violazione del generico obbligo di motivazione».
Salvato ha quindi snocciolato i dati. Nel 2022 c’è stato l' 80 percento di archiviazioni. Diciotto le condanne l’anno prima. Nel caso di archiviazione e di assoluzione, all’amministratore pubblico è poi «garantito il rimborso delle spese legali, garanzia certo di rilievo con riguardo alle preoccupazioni». La paralisi deriverebbe, dunque, non dalla «paura della condanna», ma dall’impatto delle indagini sulle carriere. «Una semplice iscrizione – aveva evidenziato il presidente dell’Anci – può arrecare danni gravissimi all’immagine pubblica e alla dignità privata». Salvato ha, allora, nuovamente tranquillizzato i commissari, richiamandosi alle ultime riforme in materia di procedura penale che hanno reso più stringenti i presupposti dell’iscrizione nel registro degli indagati, riducendo, «l’abuso dell’abuso di ufficio dovuto al proliferare delle denunce, utilizzate talora come strumento di lotta politica». Il pm deve avanzare richiesta di archiviazione, quando gli elementi acquisiti non consentano di formulare una «ragionevole previsione di condanna», ha concluso Salvato. Sarà sufficiente?