Le audizioni di Borsellino La narrazione in corso, anche di tipo giudiziario, è quella che cerca di collegare “Cosa nostra” con la misteriosa “entità”, una Spectre che dirige la cupola mafiosa come se fosse composta da burattini.

Una sorta di terzo livello che coordina tutto, perfino la Storia italiana. Qualcosa del genere la ritroviamo scritta anche nella sentenza di primo grado sulla presunta trattativa Stato - Mafia che ha condannato gli ex Ros, Marcello Dell’Utri, Nino Cinà e prescritto il pentito Giovanni Brusca.

Eppure, sia Falcone che Borsellino, concordavano con il fatto che la mafia agiva per conto proprio, pensava al suo di potere e che i suoi rapporti con la politica e il mondo economico, consistevano nel trarre vantaggi.

Infatti, chi non ubbidiva, politico o imprenditore che sia, veniva ucciso. Ma tutto ciò è ben cristallizzato nelle audizioni recentemente desecretate dall’attuale commissione antimafia sotto la presidenza di Nicola Morra.

La commissione Morra Parliamo di quelle relative alla commissione riunita nel novembre 1988. Oltre a Borsellino, c’era anche Giovanni Falcone e il capo del pool del Tribunale di Palermo, Antonino Caponnetto. Proprio Borsellino, quando ha preso la parola, e dopo aver denunciato tutte le difficoltà che ha vissuto nella procura di Marsala, ha affrontato il rapporto tra mafia e politica.

«Ho la convinzione – ha spiegato Borsellino -, tra l'altro condivisa dal collega Falcone, dopo otto anni di indagini sulla criminalità mafiosa, che il famoso “terzo livello” di cui tanto si parla - cioè questa specie di centrale di natura politica o affaristica che sarebbe al di sopra dell'organizzazione militare della mafia - sostanzialmente non esiste. Dovunque abbiamo indagato al di sopra della cupola mafiosa non abbiamo mai trovato niente».

Borsellino ha sottolineato, che «da tante indagini viene fuori invece la contiguità e i reciproci favori, e senza andare lontano basta vedere il caso Ciancimino e il caso Salvo».

L'analisi di Falcone D’altronde lo stesso Giovanni Falcone, nel corso della sua vita, subendo anche critiche, ha più volte spiegato che per “terzo livello” non intendeva indicare l’esistenza di una dimensione superiore a quella della mafia militare e dei suoi capi, fatta di colletti bianchi in grado di muovere le fila.

Lo ha spiegato anche durante un’audizione al Csm del 15 ottobre del 1991, per difendersi proprio dalle accuse mosse tramite esposti a firma dell’avvocato Giuseppe Zupo, l’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando, dall’avvocato Alfredo Galasso e di Carmine Mancuso.

Durante l’audizione resa pubblica dal CSM qualche anno fa, Giovanni Falcone ci ha tenuto a spiegare che lui non solo ribadisce l’inesistenza del terzo livello, ma ha aggiunto che non parlarne non è assolutamente una fatto benefico a favore della classe politica.

«Magari ci fosse un terzo livello!», ha esclamato Falcone. «Basterebbe una sorta di Spectre, basterebbe James Bond per togliercelo di mezzo!», ha aggiunto. «Ma purtroppo non è così – ha detto amaramente Falcone -, perché abbiamo rapporti molto intesi, molto ramificati e molto complessi».

Il terzo livello Ma allora, Giovanni Falcone, cosa intendeva in realtà per “terzo livello”? Lo ha spiegato benissimo sempre durante quell’audizione e non c’entra assolutamente nulla con l’idea di una mafia eterodiretta.

«Ci sono delitti - ha illustrato Falcone - che sono quei delitti per cui si è costituita l'organizzazione criminosa ( contrabbando di tabacchi, traffico di stupefacenti, etc): questi delitti sono del primo livello - chiamiamoli così - i delitti certi, quelli previsti».

«Poi abbiamo dei delitti eventuali, del secondo li- vello, cioè che non sono nella finalità dell'organizzazione in quanto tale, ma che vengono, volta per volta, consumati per garantire la prosecuzione dell'attività dell'organizzazione ( vedi, per esempio, lo sgarro di un picciotto che provoca la sua uccisione e così via)».

«Infine abbiamo dei delitti che servono per tutelare l'organizzazione nel suo complesso. Ecco, quindi, il delitto di un magistrato, di un uomo politico, etc. Questi delitti, che non sono né del primo livello, previsti, né del secondo livello, eventuali, li possiamo definire del terzo livello» .

Ecco spiegato il concetto. Falcone, come Borsellino, non ha mai immaginato che esistesse una sorta di consiglio di amministrazione sovraordinato rispetto ai clan capace di dettare le condizioni delle azioni criminali, quasi fosse una super Spectre.

Al contrario riteneva già Cosa Nostra una organizzazione perfettamente piramidale con un gruppo dirigente che contava al proprio interno intelligenze e professionalità le più disparate, ben inserite nel circuito politico economico legale assoggettate all’unico vincolo possibile: servire gli scopi dell’onorata società.