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L’appuntamento è per il 6 settembre. Quel giorno si terrà anche l’audizione dei presidenti del Cnf, Francesco Greco, e dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, e del coordinatore dell’Organismo congressuale forense, Mario Scialla.
Se l’Anm promuovesse un sondaggio sulla separazione delle carriere, che tipo di risultato verrebbe fuori? Nessuna esitazione sull’esito da parte del presidente Santalucia. «Sarebbe un sondaggio che si esprimerebbe per la contrarietà alla separazione», dice al Dubbio. «Su questo tema – aggiunge – l’Anm si è pronunciata più volte. Qualche mese fa il Comitato direttivo centrale ha redatto un documento in occasione del dibattito sui disegni di legge che giacciono alla Camera, motivando la contrarietà. Si separano le carriere, ma non si dà una collocazione stabile e plausibile alla figura del pubblico ministero. Nei quattro disegni di legge all’esame della commissione Affari costituzionali della Camera c’è una spia di questa incertezza costituzionale e istituzionale, perché si dice che l’ordine giudiziario è composto da giudici e pubblici ministeri. Lo si dice in tutti i disegni di legge». Un approccio, secondo Santalucia, che dimostra «incertezza e confusione dei proponenti».
Se l’ordine giudiziario resta unico, ci si chiede a cosa possa giovare la riforma. A separare le carriere da un punto di vista burocratico- funzionale? «Si creerebbero – chiosa il presidente dell’Anm – due Consigli superiori e una moltiplicazione degli organi di autogoverno. Ne abbiamo stabilizzato uno con il Consiglio di Giustizia tributaria e ora ne vogliamo creare un altro. Secondo me, al di là del lato formale, è il segnale di una non ancora chiara rappresentazione di ciò che dovrà essere la figura del pubblico ministero. Una volta che viene separato cosa sarà? Se fa parte dell’ordine giudiziario, non capisco tutta questa agitazione. L’omogeneità culturale continuerà ad esserci. Si crede veramente che i pubblici ministeri siano in grado di influenzare i giudici? Non riesco a cogliere il senso di garanzia della separazione delle carriere».
In merito all’iniziativa dei magistrati in pensione, Santalucia si sofferma sulla linearità dell’appello indirizzato al guardasigilli e aggiunge altri argomenti contro la separazione delle carriere. «La sezione dei magistrati a riposo – spiega – è una articolazione della nostra Associazione, dotata di una autonomia propria. L’iniziativa dei colleghi ormai in pensione ha fatto gridare ad alcuni allo scandalo. Io invece colgo un altro elemento: si tratta di una iniziativa posta in essere da magistrati che ormai hanno dismesso le cariche di potere. Non c’è una battaglia di corporazione portata avanti dalla magistratura. Non si tratta di una interferenza, parola che ricorre spesso se qualcuno interviene nel dibattito pubblico, e non mira a difendere interessi burocratico- corporativi. Sono oltre 500 i magistrati in pensione che si muovono in un caldo mese di agosto, forti della loro esperienza. Separare il pubblico ministero non risolve i problemi, semmai li aggrava. Con la separazione, quello del pubblico ministero diverrebbe un corpo del tutto autoreferenziale, con un Consiglio superiore della magistratura inquirente in cui gli stessi pm saranno la metà».
Andrea Reale, giudice del Tribunale di Ragusa e componente del direttivo centrale dell’Anm in rappresentanza della lista “Articolo 101”, rispetta le diverse prese di posizione che stanno emergendo. «Tutti – afferma – hanno il diritto di esprimere la propria opinione: per quanto mi riguarda, nei confronti del contenuto e del merito dell’appello dei magistrati in pensione non nutro alcuna obiezione. Ma non ho neanche pregiudizi ideologici di fronte alla separazione delle carriere. Secondo me, però, porterà più svantaggi che vantaggi, soprattutto in merito all’esercizio dell’azione penale. L’attuale assetto credo che sia il migliore per garantire l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e l’obbligatorietà dell’azione penale».
Reale si sofferma su un altro aspetto: l’organizzazione del lavoro all’interno delle Procure. «Il vero problema nell’esercizio dell’azione penale – sottolinea – riguarda il fatto che è stato eliminato il potere diffuso, che la Costituzione riconosceva, a tutti i pubblici ministeri. C’è un titolare dell’azione penale, all’interno di ciascuna Procura, che è il Procuratore, i cui criteri di scelta dentro il Csm sono diventati politici latu sensu in questi anni, tenuto conto anche di “Magistratopoli”. L’esasperata gerarchizzazione delle Procure e i criteri di scelta dei Procuratori imbrigliano l’azione penale o portano un vulnus forte sia per l’obbligatorietà dell’azione penale sia per il potere diffuso fondamentale che la Costituzione aveva previsto per tutti i pm, per renderli autonomi e indipendenti. Questo è un tema che dovrebbe interessare l’avvocatura e il governo. Ma, a quanto pare, le intenzioni sono altre».