È stata approvata ieri all’unanimità dal plenum del Consiglio superiore della magistratura la proposta di delibera 53/ VV/ 2023 (relatrice la consigliera Maria Vittoria Marchianò), riguardante la natura dei cosiddetti “provvedimenti di organizzazione della giurisdizione” che comprendono anche i provvedimenti di assegnazione delle cause ad un magistrato. Nel caso di specie è stata deliberata la costituzione in giudizio del Csm davanti al Consiglio di Stato per la riforma di una sentenza del Tar del Lazio di quest’anno. Riassunta in questi termini, la questione può sembrare riferirsi ad una delle tante pratiche che vengono volta per volta affrontate a palazzo dei Marescialli. Non è così, invece. Il caso in esame parte da un evento che ha stravolto la storia del nostro secolo e la geopolitica: gli attentati alle Torri Gemelle dell’ 11 settembre 2001.

La strage del World Trade Center ha avuto strascichi giudiziari anche in Italia con una azione contro la Repubblica islamica dell’Iran, a seguito della pronuncia di una sentenza della Southern District Court of New York del 2001. Nella delibera del Csm si ricostruisce un complesso iter giudiziario, che ha interessato prima la Corte d’appello di Roma, poi il Tar Lazio e ora si appresta ad approdare davanti al Consiglio di Stato. Alcuni cittadini hanno riassunto presso la Corte di Appello di Roma il giudizio civile con cui avevano richiesto il riconoscimento in Italia di una sentenza della Corte federale di New York del 2001, che ha condannato definitivamente l’Iran e altri tredici soggetti istituzionali iraniani al risarcimento di «tutti i danni causati dal loro coinvolgimento, a vario titolo, dell’attentato alle Torri Gemelle del 2001».

La causa è stata incardinata a Roma per la presenza in una banca italo- libica, con sede nella capitale, di fondi dei condebitori, la Banca centrale iraniana e della Repubblica islamica dell’Iran, per un importo di 1,8 miliardi di euro. Il complesso iter giudiziario, al quale si è innestato pure il procedimento di delibazione, introdotto con ricorso di sequestro conservativo, ha successivamente coinvolto la Corte di Cassazione. Sono state prese in considerazione le osservazioni presentate dai ricorrenti relative ai provvedimenti della Corte d’appello di Roma e al carattere organizzativo del processo.

Da tali provvedimenti sono derivate violazioni di vario tipo, che hanno altresì determinato l’intervento della giustizia amministrativa con la sentenza del Tar Lazio n. 10836 del 2023. È a questo punto che si registra l’intervento dell’Ufficio studi del Csm, secondo il quale «l’impugnata sentenza del Tar del Lazio appare immune dai vizi denunziati» per cui «sussistono ragioni fondate perché il Consiglio Superiore si determini a resistere all’appello proposto per chiedere il rigetto dello stesso e della connessa domanda cautelare». Un altro passaggio si rivela interessante: «Deve, infatti, osservarsi che i giudici amministrativi hanno correttamente rilevato che gli atti impugnati con l’originario ricorso non costituiscono provvedimenti amministrativi, ma atti di gestione e organizzazione del processo».

L’approfondimento dell’Ufficio studi del Csm tiene conto del carattere di quegli atti in grado di incidere proprio sull’organizzazione della giurisdizione. «Essendo gli stessi privi di natura amministrativa – viene evidenziato -, devono essere più propriamente ricondotti nell’ambito della categoria degli atti di natura giurisdizionale, in quanto comunque inseriti nella sequenza del processo e funzionali a consentire l’esercizio della giurisdizione. Pur non essendo espressione dell’attività di iuris dicere in senso tecnico, gli atti di cui si discute incidono, infatti, comunque su di essa sotto il profilo già evidenziato, della organizzazione della giurisdizione».

Il Csm si sofferma altresì sull’orientamento del Tar del Lazio, considerato condivisibile, secondo cui «gli atti impugnati possono essere qualificati come atti del processo». Un percorso interpretativo e di analisi del caso specifico che ha portato il Consiglio superiore della magistratura a costituirsi in giudizio davanti al Consiglio di Stato, con l’approvazione all’unanimità della relativa delibera nel plenum.