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La premier Giorgia Meloni
Può un governo essere all’opposizione della propria maggioranza? Difficile. Ma non impossibile. Almeno secondo il Pd, che ieri ha “denunciato” il seguente paradosso: a Palazzo Madama, l’Esecutivo ha chiesto di rinviare l’esame della legge che regola il sequestro delle chat dai telefonini degli indagati. A firmare quella proposta era stato, manco a dirlo, un senatore di Forza Italia, il capogruppo azzurro in commissione Giustizia Pierantonio Zanettin.
Ebbene, è toccato all’omologo dem di Zanettin, Alfredo Bazoli, dire che ieri «il governo ha inaugurato l’inedita stagione dell’ostruzionismo alla sua maggioranza». Un attimo prima di iniziare a discutere gli emendamenti, spiega Bazoli, l’Esecutivo ha chiesto «uno slittamento per non meglio precisate necessità di approfondimenti tecnici». È un caso? Forse a breve si potrà “testare” di nuovo questo potenziale conflitto interno al centrodestra: proprio oggi, infatti, gli azzurri dell’altra commissione Giustizia, quella di Montecitorio, chiederanno, nella riunione dell’ufficio di presidenza, la calendarizzazione della loro proposta di legge sul codice antimafia.
Si tratta del testo a prima firma di Pietro Pittalis e sottoscritto anche dagli altri due deputati forzisti della commissione, il capogruppo Tommaso Calderone e l’onorevole Annarita Patriarca, oltre che dal vicepresidente della Camera Giorgio Mulè. Come riportato nei giorni scorsi su queste pagine, la proposta azzurra limita il ricorso, da parte dei magistrati, alle misure di prevenzione antimafia nei confronti di chi sia stato assolto dalle accuse di 416 bis in un processo penale. Ai profani della materia potrà sembrare pazzesco che serva una legge per sancire un così elementare principio del diritto.
Ma come il Dubbio racconta da anni, quel principio è purtroppo clamorosamente smentito dalle norme del codice antimafia. Che considerano il “procedimento di prevenzione” come un binario parallelo e autonomo dal processo penale vero e proprio. Al punto da aver legittimato per anni sequestri e confische a danno di imprenditori macchiati dall’ombra di non meglio consolidati sospetti, senza lo straccio di una prova.
Bene: Forza Italia vuole riportare la disciplina delle misure antimafia nel perimetro delle garanzie costituzionali. «Di quelle garanzie che, paradossalmente, sono previste per il processo penale ma svaniscono nel procedimento di prevenzione», spiega al Dubbio Pittalis, che della commissione Giustizia di Montecitorio è vicepresidente. «Ecco perché oggi chiederemo, nell’ufficio di presidenza, di inserire la nostra proposta nel calendario bimestrale dei lavori, in modo da poterla discutere a breve».
Difficile che il resto della maggioranza, e innanzitutto il presidente della commissione Ciro Maschio, di FdI, si opponga alla richiesta degli azzurri. «Non ci sono arrivati segnali del genere», assicura Pittalis. Ma il punto è un altro. Non riguarda tanto il Parlamento, quanto il governo. Anzi, il vertice del governo: Giorgia Meloni. Che lunedì è stata protagonista di un incontro praticamente inedito: un summit, promosso dal procuratore nazionale Antimafia Gianni Melillo, con l’intera Dna e con i capi delle 26 Procure distrettuali italiane, che sono anche sedi delle direzioni “locali” Antimafia. Si è trattato di un confronto allo stesso tempo ampio e cadenzato da specifiche questioni. Tra queste, il passaggio in cui la premier ha evocato «l’importanza delle confische alla criminalità organizzata».
Potrebbe sembrare arbitrario ricollegare una frase simile a una proposta come quella con cui FI intende limitare gli abusi dell’antimafia, tra cui rientrano appunto i sequestri agli innocenti. Può sembrare arbitrario non foss’altro perché della proposta Pittalis non è iniziato, appunto, neppure l’esame in commissione. Ma c’è un ma. Anzi due.
Il primo: nei prossimi giorni l’Avvocatura dello Stato dovrà rispondere ai quattro quesiti rivolti all’Italia dalla Corte europea di Strasburgo, nell’ambito della causa innescata dalla famiglia Cavallotti. Quest’ultima rappresenta un caso esemplare di vittime innocenti della legislazione antimafia: la prima generazione dei Cavallotti si è vista infatti confiscare i beni e le aziende nonostante le assoluzioni definitive arrivate, nel processo penale, dalle accuse di mafia. Com’è facile intuire, i Cavallotti “rischiano” seriamente di vincere il ricorso contro lo Stato italiano. Non a caso, la Corte europea ha chiesto al governo di chiarire, per esempio, se le confische antimafia inflitte a chi è assolto non violino la presunzione d’innocenza.
È chiaro però che sarebbe complicato, per la maggioranza, sostenere una legge salva-innocenti come quella proposta da FI nel momento in cui l’Avvocatura dello Stato – su impulso di Palazzo Chigi (cioè di Meloni e del sottosegretario Alfredo Mantovano, che era con la premier all’incontro di via Giulia), e di Carlo Nordio (anche lui presente al summit coi pm antimafia) – sostenesse che le misure di prevenzione sono compatibili eccome con la presunzione d’innocenza (cioè con la Costituzione italiana e la Convenzione europea) in virtù di qualche misterioso arcano giuridico.
Seconda questione, più terra terra: dopo un incontro come quello promosso lunedì da Melillo, può il governo Meloni “tradire” gli accenni di distensione con la magistratura (che insieme ad altri segnali spingono Enrico Costa a parlare di centrodestra “consegnato” alle toghe) con una legge che, per la magistratura antimafia, è come il fumo negli occhi?
Ecco, all’ultimo quesito, Pittalis così replica: «Noi andiamo avanti. Non scalfiamo di un millimetro l’asprezza delle norme contro i mafiosi. Semplicemente, evitiamo che ne possano essere colpiti gli innocenti». FI va avanti nonostante la “perestrojka” di via Giulia. E tutto sembra preannunciare un nuovo attrito sulla giustizia, del tutto simile a quello registrato il mese scorso sulle intercettazioni. Solo che stavolta la posta in gioco è altissima. Perché rischierebbe di sottrarre alla magistratura antimafia un’arma letale, ma comodissima, con cui colpire cittadini e imprese a prescindere dalla loro colpevolezza.