Credo «il “buffetto” della censura che mi è stato inflitto ben poco abbia a che fare con il diritto e la giustizia, ma sia una decisione di “politica giudiziaria per via disciplinare” volta a tutelare un sistema giudiziario ormai in decomposizione. Assolvermi avrebbe non solo delegittimato i vertici della Procura generale di Milano, ma avrebbe messo in pericolo la fallimentare politica delle nomine ai vertici degli uffici giudiziari dominata dalla perversa correntocrazia che il cosiddetto “scandalo Palamara” non ha minimamente scalfito». È l’affondo del sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser all’indomani della decisione della sezione disciplinare del Csm, che lo ha sanzionato accogliendo la richiesta della pg di Milano Francesca Nanni

Il magistrato 69enne è stato “censurato” per la violazione delle linee guida della procura generale di Milano sul tema della revisione dei processi e in particolare per la vicenda della Strage di Erba, per la quale il sostituto pg aveva redatto una richiesta di revisione del processo. Atto che entrerà nell’udienza in programma a Brescia venerdì 1 marzo, ma lui - annuncia Tarfusser - non sarà presente nell’aula della corte d’Appello.

Il magistrato parla di una sanzione inflitta unicamente «per avere studiato degli atti processuali, avere scritto un atto giudiziario ed averlo depositato nella segreteria della Procura generale di Milano. Insomma, per avere fatto il magistrato. La mia colpa? Non avere preventivamente informato il mio “capo” venendo così meno al dovere di correttezza verso il “capo” e violando un “regolamento interno” all’ufficio» spiega in una sorta di lettera aperta. «Vero? Assolutamente no, perché il 24 marzo 2023 perfettamente consapevole delle norme, dei ruoli, della gerarchia e consapevole della delicatezza del mio atto, ho chiesto al “capo” un incontro urgente per discutere “diffusamente di una cosa tanto delicata quanto importante su cui stavo lavorando da alcune settimane”. Ho atteso una settimana intera e, constatato che il “capo” ha ignorato la mia richiesta, ho esercitato la mia funzione di magistrato, autonomo e indipendente, soggetto solo alla Costituzione, alla legge, agli atti processuali e alla mia coscienza» e così il 31 marzo scorso ha depositato l’atto in segreteria.

«Per quanto mi riguarda - sottolinea il sostituto pg Cuno Tarfusser che dopo le motivazioni è pronto a fare ricorso in Cassazione - posso solo dire che rifarei esattamente quello che ho fatto, orgoglioso di avere, anche in questo caso, esercitato il ministero di magistrato autonomo e indipendente, innanzitutto verso l’interno, prima ancora che verso l’esterno» sottolinea. «Tra pochi mesi andrò in pensione, ci andrò senza nostalgia per un mondo che non sento più mio. Posso però con orgoglio guardare indietro a un percorso professionale, a livello nazionale e internazionale, di successo che pochi altri possono vantare e che nessuno mi può togliere. Purtroppo, in un mondo impregnato da invidie e gelosie, il successo non viene perdonato e il merito non viene riconosciuto», aggiunge.

Per Tarfusser «una riforma della giustizia non è più rinviabile. Una riforma seria, profonda, degna di questo nome. Una riforma che finalmente sradichi i tossici centri di potere e non si limiti, come avviene da decenni, a somministrare blandi antidolorifici ad un malato agonizzante. Sempreché una Politica seria, lungimirante, autorevole, esista e si decidesse finalmente a farla. Per me - conclude - arriverà in ritardo, ma i cittadini, i nostri figli e nipoti hanno diritto ad un sistema giudiziario quantomeno decoroso».

La decisione del Csm e l’udienza sulla strage di Erba

 Tarfusser è stato sanzionato con la censura da parte della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con l’accusa di aver mancato ai «doveri di imparzialità e correttezza» per aver depositato di propria iniziativa l’istanza di revisione del processo a carico di Olindo Romano e Rosa Bazzi, «in palese violazione del documento organizzativo dell’ufficio» che assegna questa facoltà soltanto al pg presso la Corte d’Appello o al suo vice, l’avvocato generale. Secondo l’accusa invece, il sostituto pg avrebbe agito in autonomia il 31 marzo 2023 dopo aver tenuto, senza alcuna delega, lunghi «contatti con i difensori» dei due coniugi condannati all’ergastolo in via definitiva per il pluriomicidio avvenuto a colpi di coltello e spranga nel paese del Comasco l’11 dicembre 2006 e che provocò la morte di Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini.

«In tutta coscienza e per amore di verità e di giustizia e per l’insopportabilità del pensiero che due persone, probabilmente vittime di errore giudiziario, stiano scontando l’ergastolo», aveva scritto il magistrato nella sua istanza di revisione del processo chiedendo la riapertura. Il processo di revisione partirà venerdì mattina alla 9 davanti alla Corte d’appello di Brescia. È attesa una folla di giornalisti e curiosi. Sono state riunite le due istanze di revisione presentate dai legali di Romano e Bazzi, Fabio Schembri, Vincenzo D’Ascola, Patrizia Romano e Luisa Bordeaux, e da  Tarfusser, e notificato il decreto di citazione agli avvocati e alle parti civili delle famiglie Marzouk, Frigerio e Castagna, parenti delle vittime.

La sentenza di condanna al carcere a vita era stata emessa dalla Corte d’assise di Como il 26 novembre 2008 e confermata dalla Cassazione il 3 maggio 2011. Il collegio d’Appello di Brescia dovrà valutare la novità delle prove depositate, soprattutto alcune delle 15 consulenze tecniche firmate da professori e neuroscienziati di tutta Italia. In particolare riguardano la testimonianza di Mario Frigerio (ora defunto), quella sera colpito con un fendente alla gola e creduto morto dagli assalitori ma sopravvissuto per miracolo, che in aula indicò i due coniugi, oggi di 64 e 63 anni, come gli autori della strage.

Le istanze di revisione accolte riguardano anche le confessioni di Olindo e Rosa, rese ai carabinieri e pm di Como, le intercettazioni ambientali, la morte della signora Cherubini perché, secondo la difesa, l’assassino sarebbe stato ancora dentro casa quando arrivarono i soccorritori nella corte in fiamme di via Diaz 25, nota nella zona come la Casa del Ghiaccio. Infine c’è la traccia ematica, elemento chiave del processo, proveniente dal battitacco dell’auto di Romano, bollata dagli avvocati come «suggestione ottica».