Gazprombank, l’istituto attraverso cui passano i pagamenti per la fornitura di gas russo, per ora resta fuori dall’elenco delle banche interessate dalle sanzioni

La lista delle banche russe, sono sette, escluse dalla piattaforma di pagamenti internazionali Swift, resa nota martedì sera da Bruxelles al termine di una lunga e tesa trattativa rappresenta una vittoria di Draghi e del cancelliere tedesco Scholz. Si sa che i due leader avrebbero preferito evitare di includere l'estromissione dal Swift nel pacchetto delle sanzioni, perché è una delle misure più potenzialmente a rischio di colpire anche i sanzionatori. Non ce l'hanno fatta, un po' per le pressioni di Washington, un po' per evitare lo scontro con i Paesi baltici e la Polonia, che premevano moltissimo perché la sanzione fosse comminata, e soprattutto con l'Ucraina stessa, che riteneva l'esclusione dal Swift fondamentale. In compenso, almeno per ora, hanno ottenuto che nella lista nere delle banche tagliate fuori non ci fosse Gazprombank, quella attraverso cui passano i pagamenti per la fornitura di gas russo. Non si sa sino a quando l'esclusione reggerà. Una delle ragioni per cui Gazprombank e Sberbank, il principale gruppo bancario russo, sono stati per ora salvati, è la necessità di mantenere margini per nuove sanzioni invece di sparare subito tutte le cartucce.

Nella sua comunicazione alle camere di martedì Draghi ha evitato di concentrarsi troppo sui prezzi che l'Italia dovrà pagare per le sanzioni comminate alla Russia. Ci hanno però pensato gli interventi dei parlamentari più esperti, come Pier Ferdinando Casini o l'ex commissaria europea Emma Bonino, che non l'hanno mandata a dire: quei prezzi saranno comunque molto salati. Le sanzioni costano sempre qualcosa ai sanzionatori. È vero, ad esempio, che la Russia è un partner di limitata importanza per quanto riguarda l'export italiano ma per le industrie che di quell'export vivono, come quella del mobile, si tratta di una magra consolazione. Le stesse sanzioni successive all'occupazione della Crimea dopo il 2014, pur blande, hanno avuto ricadute significative su alcuni settori, in particolare sull'agricoltura. Stavolta sarebbe comunque peggio, anche se si trattasse davvero solo di sanzioni, perché sarebbero comunque molto più rigide. Il blocco dei fertilizzanti russi, ad esempio, implicherà senza dubbio un aumento secco delle spese di produzione e dunque anche dei prezzi al consumo nei negozi. È dunque evidente che l'Italia dovrà insistere con la Ue perché dia prova concreta di solidarietà aiutando le aziende penalizzate dal blocco di scambi con la Russia a trovare nuovi sbocchi e nuovi mercati.

Queste però non sono sanzioni come le altre, solo più rigide e stringenti. Sono l'avvio di una guerra, combattuta con le armi della finanza ma pur sempre guerra, e in una guerra si può escludere di infliggere solo perdite senza doverne anche subire. I prezzi dell'energia, già in crescita incontrollata, si sono già impennati, come era inevitabile. Non si può affatto escludere che Putin adoperi proprio il canale che l'Europa ha lasciato aperto, per forza e non per amore, quello appunto del gas, per sferrare la sua controffensiva. Il piano d'emergenza approntato da Draghi e Cingolani, che prevede il razionamento dell'energia, serve proprio a fronteggiare l'eventuale “chiusura dei bocchettoni” da parte della Russia. Non succederà o almeno è considerata ipotesi altamente improbabile dallo stesso governo. Ma un aumento dei prezzi, o una diminuzione della produzione per arrivare allo stesso risultato, è invece più che possibile e nella situazione attuale sarebbe come dar fuoco a una prateria cosparsa dai cespugli dell'inflazione e dall'erba combustibile delle bollette impazzite.

Il gas non è la sola incognita. In realtà nessuno può prevedere con certezza gli effetti del congelamento delle riserve finanziarie russe nelle banche estere. Draghi ha fatto capire che i russi, in preparazione dell'invasione, avevano già messo al riparo buona parte delle loro riserve. In questo caso, salvo auspicatissimo golpe a Mosca, i tempi della guerra finanziaria si allungherebbero. Bisognerà poi vedere quali saranno le reazioni mondiali a una mossa così estrema. In Bankitalia c'è chi teme che alcuni Stati, vista la minaccia di ritrovarsi con i fondi congelati in caso di conflitto, possano decidere di dirottarli altrove, provocando quel terremoto finanziario previsto dall'ex ministro dell'Economia Tremonti. In ogni caso, anche senza tsunami, la situazione delle banche italiane, Unicredit e Intesa, esposte complesivamente per una trentina di mld con gli istituti russi non sarà facile.

In compenso l'Italia dovrebbe poter contare su una nuova e provvidenziale pausa del Patto di stabilità e del Fiscal Compact e se conflitto e crisi si prolungheranno l'Europa difficilmente potrà esimersi dal varare quel Recovery Fund bellico che chiede a gran voce sin dal primo momento Conte, già padrino del primo Recovery Fund. Ma anche questa è una mossa estrema, sia pur di segno opposto, che restituisce la realtà del quadro: non si tratta più di una crisi. Si tratta di una guerra.