Ma esiste o non esiste una talpa a Perugia? E se sì, si tratta di un’unica persona? La vicenda di Raffaele Guadagno, ex cancelliere della procura di Perugia che ha patteggiato una pena ad un 1 anno e 2 mesi per accesso abusivo alla banca dati dei procedimenti penali e rivelazione di segreto d’ufficio è una storia piena di buchi. Per diverse ragioni, a partire dal fatto che se a Guadagno è stato contestato l’invio della richiesta di archiviazione dell’inchiesta sulla presunta Loggia Ungheria ad un giornalista del Fatto Quotidiano, non risulta un’analoga contestazione per quanto riguarda la pubblicazione, negli stessi giorni, di articoli simili su Repubblica e Corriere. E nessuno, a volerla dire tutta, ha mai individuato la “manina” che inviò agli stessi giornali gli atti sull’Hotel Champagne e sui guai di Luca Palamara, usciti sempre dalla procura di Perugia, ma non per mano di Guadagno, che anzi ricevette quei documenti sul proprio cellulare da una giornalista locale.

Un passo indietro: le disavventure di Guadagno risalgono al 9 e al 10 luglio 2022, quando su Corriere, Repubblica e Fatto Quotidiano vengono pubblicati alcuni stralci della richiesta di archiviazione sulla Loggia Ungheria. Una richiesta della quale il procuratore Raffaele Cantone aveva dato notizia solo tramite un comunicato stampa, decidendo di tenere il documento intero “segreto”, dati gli spunti investigativi ritenuti degni di approfondimento. Il giorno successivo, tutti i giornali pubblicano la notizia, ma il Fatto sembra saperne di più, mettendo nero su bianco dei passaggi della richiesta. Il giorno successivo sono Corriere e Repubblica ad andare più a fondo, scegliendo, ancora una volta, di puntare sul cavallo Palamara, così come avevano fatto nel 2019. E lanciano un titolo forte: l’ex capo dell’Anm «di nuovo sotto inchiesta». Il Fatto, che non rimane indietro, punta sui “suoi” temi: le presunte trame dell’ex ministro Luca Lotti, ad esempio, le accuse false contro Giuseppe Conte e gli “interessi” di Matteo Renzi. Cantone va su tutte le furie e apre un fascicolo per trovare quella che già risulta agli atti come la “talpa”. Il Fatto lo critica - l’archiviazione non è segreta, scrive, «ma la procura cerca la manina» -, ma è proprio il giornale di Travaglio quello più invischiato nella vicenda, tant’è che l’unico giornalista a finire indagato è proprio quello del Fatto. Secondo l’accusa, sarebbe stato Guadagno a consegnargli quell’atto, che, di certo, è stato scaricato. Insieme a tanti altri, fatto pacifico, come quelli sul caso Suarez, quelli sulla Sanitopoli umbra e così via. Tutti atti coperti da segreto, che sono finiti sui giornali. Così la procura cerca la prova nel cellulare del suo ex funzionario, che di certo ha accesso al sistema senza problemi. Il cellulare, però, viene consegnato da Guadagno ad un tecnico informatico che lavora per lo stesso ufficio giudiziario. Il tecnico tiene con sé il cellulare per due giorni e solo dopo 48 ore, dunque, lo consegna agli inquirenti, dichiarando di essere stato incaricato di cancellare le tracce del passaggio di quei file dal telefono di Guadagno a quello del giornalista del Fatto, l’unico ad essere nominato dall’ex cancelliere, stando al racconto del tecnico. Il supertestimone viene però sentito senza avvocato. Nonostante la possibilità che possa aver contribuito a complicare le indagini, dal momento che nel telefono di Guadagno, in effetti, non c’è nulla. Ovvero: non c’è la pistola fumante. Il tecnico, sentito a sommarie informazioni, non dice mai di aver effettuato il “lavoro” per il quale Guadagno lo avrebbe cercato. Anzi, allarmato dalla situazione - e senza il pin per poter accedere al telefono -, consulta i siti online scoprendo solo in quel momento, il 12 luglio 2022, che la procura di Perugia sta cercando una talpa.

La procura, ad un certo punto, convoca anche il giornalista, che, naturalmente, si avvale del segreto professionale. Nessuno, però, sequestra il suo cellulare, per cercare una traccia di quei documenti inviatigli, secondo la procura, illegittimamente. Mentre Repubblica e Corriere escono quasi subito fuori dai giochi.

Si dirà che l’ex cancelliere ha ammesso la propria colpevolezza, patteggiando. Ma la verità è un po’ più complessa: Guadagno, colpito da due ischemie, ha scelto la salute a fronte di quella che sembrava sin da subito una tortuosa strada giudiziaria che, con molta probabilità, avrebbe solo aggravato la sua salute, senza la possibilità di difendersi al 100 per cento - data l’acclarata semi infermità - e con una condanna quasi scontata, dato l’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione sull’accesso abusivo al sistema. Da qui la scelta di uscire subito dalla vicenda, portandosi dietro anche la rivelazione, che avrebbe cambiato di poco il computo della pena. Pur professando la propria innocenza, infatti, l’ex cancelliere non sarebbe stato in grado di ricostruire materialmente, nel dettaglio, chi, quando e perché gli avesse chiesto di scaricare quei file per eventuali motivi di servizio. Ciò nonostante il suo legale, Chiara Lazzari, abbia evidenziato sin da subito due circostanze: una richiesta di archiviazione, di per sé, non può dirsi segreta e, soprattutto, fino al 14 settembre 2022 non c’era, all’interno della procura di Perugia, una direttiva che disciplinasse l’accesso al sistema Tiap e ai dati in esso contenuti, in assenza della quale «il reato non è né configurabile in astratto, né contestabile in concreto». La talpa, però, è finita nella rete. E nessuno si chiede se non ci siano altre manine, in giro, a fare il lavoro sporco.