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EFFETTO SANZIONI
Colpite duramente dalle sanzioni e dall’embargo europeo sul petrolio, le grandi compagnie russe non sembrano affatto preoccupate per il futuro e, intanto, si godono il presente. L’impennata del prezzo del barile gonfia infatti le casse dei colossi del greggio, in particolare quelle di Rofsnet controllata a maggioranza dal governo di Mosca, ossia dagli uomini di Vladimir Putin. E poco importa se i partner occidentali sono in fuga, come British Petroleum che possedeva il 20% delle quote, ma anche Shell, Exxon e la norvegese Equinor. IN ATTESA GLI EFFETTI DELL’EMBARGO EUROPEO LA COMPAGNIA VERSA VERSA IN OTTIMA SALUTE
Toccato il record di profitti per gigante petrolifero russo controllato dal Cremlino E le previsioni per il 2022 dominato dalla guerra in Ucraina sono ancora più rosee
Colpite duramente dalle sanzioni e dall’embargo europeo sul petrolio, le grandi compagnie russe non sembrano affatto preoccupate per il futuro e, intanto, si godono il presente. L’impennata del prezzo del barile gonfia infatti le casse dei colossi del greggio, in particolare quelle di Rofsnet controllata a maggioranza dal governo di Mosca, ossia dagli uomini di Vladimir Putin.
E poco importa se i partner occidentali sono in fuga, come British Petroleum che possedeva il 20% delle quote, ma anche Shell, Exxon e la norvegese Equinor che hanno rinunciato a qualsiasi forma di partecipazione nel colosso russo. L’isolamento per ora non preoccupa gli oligarchi vicini al Cremlino. Lo scorso 30 maggio il Cda di Rosfnet ha versato dividendi record ai propri azionisti: oltre sei miliardi di euro su 10, 5 miliardi di profitti realizzati nell’ultimo semestre del 2021, un volume sette volte maggiore rispetto all’anno precedente, insomma cifre da capogiro che accendono i sorrisi dei dirigenti..
Tanto che due settimane prima della guerra in Ucraina l’amministratore delegato del gruppo Igor Sechin, un fedelissimo del Cremlino sotto sanzioni occidentali dal 2014 che i media russi chiamano sinistramente Darth Vader, aveva illustrato l’avvenire radioso che attende la compagnia, presentando nuovi investimenti e scommettendo su «una crescita stabile del titolo per i prossimi anni».
L’invasione dell’Ucraina, di cui uno come Sechin non poteva non essere al corrente, non sembra aver cambiato granché nell’immediato; il prezzo barile è schizzato a 122 dollari e con molta probabilità aumenterà ancora nei prossimi mesi come accade in tempi di guerra. Così anche per il 2022 i profitti di Rofsnet si annunciano ancora una volta da record.
Tuttavia a lungo termine gli effetti dell’embargo di Bruxelles potrebbero invertire la virtuosa tendenza come sottolineano diversi analisti occidentali.
Calcolando un prezzo medio di circa 100 dollari al barile ( ossia in tempi non di guerra) le compagnie petrolifere russe pubbliche ma anche private come Lukoil rischiano di vedere volatilizzati 300 miliardi di euro annui sul mercato europeo, intorno al 18% del prodotto interno lordo se l’embargo funzionerà effettivamente.
A quel punto la produzione e l’export subirebbero una drastica riduzione con effetti pesantissimi sull’economia russa, del tutto dipendente dalle sue esportazioni di energia., E Rofsnet, che produce il 40% del greggio russo e allo stesso tempo copre i due terzi del mercato interno, sembra naturalmente il gruppo che rischia di più di fronte a un simile tsunami. Ma Sechin non pare preoccupato, da una parte è convinto che gli europei alla lunga non possono fare a meno del petrolio russo e, male che vada, ci sono sempre i cinesi e gli indiani, mercati immensi anche se, in quel caso i prezzi vendita a Pechino e Dehli dovranno necessariamente essere abbassati.