ERGASTOLI, 41 BIS, REGIMI DIFFERENZIATI

DAMIANO ALIPRANDI Repressione dura per gli anarchici: pene più alte di quelle per le stragi di Capaci e via D’Amelio

Durante la notte del 2 giugno del 2006, presso la Scuola Allievi Carabinieri di Fossano, sono esplosi due ordigni a basso potenziale senza causare feriti e danni gravi. Per questo attentato sono stati processati due anarchici. La corte d’Assise d’Appello li ha condannati per strage contro la pubblica incolumità ( articolo 422 del codice penale) che prevede una pena non inferiore ai 15 anni. A luglio scorso la Cassazione ha riqualificato il reato a strage contro la sicurezza dello Stato. Parliamo dell’articolo 285 che prevede l’ergastolo. Si tratta del reato più grave del nostro ordinamento che non è stato nemmeno applicato per le stragi di Capaci e Via D’Amelio.

L’ARTICOLO 285 RISALE AL CODICE ROCCO E PREVEDEVA ERGASTOLO E PENA DI MORTE

Una pena oggettivamente spropositata. L’articolo 285 del codice penale, ovvero devastazione, saccheggio o strage nel territorio dello Stato, porta ancora la firma di Mussolini e del Re. Parliamo del codice Rocco e fu introdotto dall’allora guardasigilli fascista cambiando quello precedente. In origine era stabilita la pena della reclusione non inferiore a cinque anni per reprimere ogni fatto diretto a suscitare la guerra civile ed era stabilito l'ergastolo se la guerra civile si fosse verificata. L’allora ministro Rocco, nella sua introduzione al nuovo codice, scrisse: «Poiché si tratta di fatti di estrema gravità da cui può derivare un danno irreparabile per l'esistenza stessa dello Stato, ho ritenuto necessario di reprimere i fatti predetti, rispettivamente, con l'ergastolo e con la morte». La pena di morte, con l’avvento della Repubblica italiana, è stata cancellata, ma rimane l’ergastolo. Oggi, tra l’altro, nel caso specifico, è quello ostativo, definito dagli addetti ai lavori “una pena di morte viva”. In sostanza per la Cassazione i due anarchici avrebbero messo in pericolo l’esistenza dello Stato.

Ma non è tutto. Nell’agosto del 2018, un altro militante anarchico, avrebbe collocato due ordigni esplosivi al K3, sede della Lega di Villorba, nel trevigiano. Fortunatamente non ci furono alcune conseguenze, nessun ferito. Nel mese dello scorso luglio è stato condannato in primo grado a 28 anni di carcere. Quanto un ergastolo ordinario.

Ma non finisce qui. Nell’estate del 2020 altri cinque militanti anarchici sono stati raggiunti da una ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati di terrorismo, trascorrendo circa un anno in Alta Sorveglianza ( altro regime differenziato per mafiosi e terroristi), nonostante i fatti a loro attribuiti siano imbrattamenti sui muri e manifestazioni non autorizzate. Nei confronti di altri anarchici ancora ci sono processi per reati di opinione. Certo, parliamo di scritte contro lo Stato, quindi sicuramente inteso come linguaggio “violento”.

LA CASSAZIONE NEL 2017: «SI FINIREBBE PER REPRIMERE LE IDEE PIUTTOSTO CHE I FATTI»

Ma tali linguaggi posso essere tradotti come istigazione al terrorismo e, addirittura, all’eversione dell’ordine democratico? Per tentare una plausibile risposta, ci viene in aiuto la sentenza della Cassazione numero 25452 del 2017: «L’anticipazione della repressione penale finirebbe per sanzionare la semplice adesione a un’astratta ideologia che, pur aberrante per l’esaltazione della indiscriminata violenza e per la diffusione del terrore, non è accompagnata dalla possibilità di attuazione del programma; si finirebbe così per reprimere idee, piuttosto che fatti». Va aggiunto, che tali slogan e idee, fino a qualche anno fa sarebbero stati perseguiti con il reato dell’articolo 272, ovvero “propaganda sovversiva”. Fattispecie abrogata nel 2006, sulla base dell'assunto che la propaganda, anche di ideologie di sovversione violenta, debba essere tollerata da uno Stato che si dica democratico, pena la negazione del suo stesso carattere fondante. Eppure ora le procure trovano l’escamotage qualificando le opinioni anarchiche come istigazione a delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo.

ALFREDO COSPITO TRASFERITO AL 41 BIS PER I SUOI SCRITTI ANARCHICI

Ed ancora a 30 anni dall’istituzione del 41 bis nato come misura emergenziale durante le stragi della mafia corleonese, ma poi resa “ordinaria” ad aprile scorso si è creato un precedente: per la prima volta un anarchico varca la soglia del carcere duro. Parliamo di Alfredo Cospito, uno dei condannati per l’attentato alla scuola allievi di Fossano e accusato anche di aver messo altre bombe. In realtà, come ricorda il suo avvocato Flavio Rossi Albertini, la prova “schiacciante” sarebbe la ricalcatura della sua stessa calligrafia sulle buste di alcuni pacchi bomba. Cioè, avrebbe ricalcato imitando la sua stessa calligrafia. Una perizia che fu smentita in una precedente indagine che finì, infatti, con una archiviazione. Ma con il nuovo processo, i pm hanno affidato la perizia ai privati, non ai Ris come in precedenza, riesumando la tesi sconfessata in precedenza. Condannato con quella prova.

Cospito, inizialmente era in Alta sorveglianza, dopodiché la ministra della Giustizia ha deciso, tramite decreto, di rinchiuderlo al 41 bis. Il motivo? Inviava i suoi scritti ai compagni anarchici. Scritti politici non segreti, non i “pizzini”, ma riflessioni rese pubbliche sui giornali anarchici e siti on line. Come scrive l’avvocato Flavio Rossi Albertini nel suo articolato e argomentato ricorso, il 41 bis nasce per impedire i collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale di appartenenza, mentre nel caso specifico, la ministra «ha inteso perseguire la finalità di interrompere e impedire al Cospito di continuare a esternare il proprio pensiero politico, attività, tra l’altro, pubblica, pertanto né occulta né segreta; destinata non agli associati, bensì ai soggetti gravitanti nella galassia anarchica; e che, secondo quanto espressamente ritenuto dal Tribunale del Riesame di Perugia, si risolve, al più, in una propaganda sovversiva violenta, che il legislatore ha comunque considerato non più punibile».

APPELLO DEGLI AVVOCATI DEGLI ANARCHICI PER L’ALLONTANAMENTO DAL GARANTISMO

Un vero e proprio precedente, anche perché, a differenza della mafia e l’organizzazione terroristica come le ex Br, è notorio che il movimento anarchico rifugge in radice qualsiasi struttura gerarchica e forma organizzata. A ciò si aggiunge il fatto che la sigla incriminata sarebbe quella della Fai ( Federazione anarchica informale), ma che nel concreto non risulta una associazione, ma un “metodo”. Non è una struttura organizzata, ma una sigla che ognuno la utilizza in maniera “soggettiva”. In alcuni casi c’è il sospetto che venga usata anche impropriamente da altri soggetti e odorerebbe di depistaggio.

Gli avvocati e avvocate degli anarchici imprigionati, hanno sottoscritto un appello argomentando ogni episodio, denunciando di ritrovarsi spettatori «di una deriva giustizialista che rischia di contrapporre ad un modello di legalità penale indirizzato ai cittadini, con le garanzie e i diritti tipici degli stati democratici, uno riservato ai soggetti ritenuti pericolosi, destinatari di provvedimenti e misure rigidissimi, nonché di circuiti di differenziazione penitenziaria». Tutto ciò preoccupa i giuristi firmatari dell’appello «perché comporta un progressivo allontanamento dai principi del garantismo giuridico, da quello di legalità ( per cui si punisce per ciò che si è fatto e non per chi si è) a quello di offensività, sino ad un pericoloso slittamento verso funzioni meramente preventive e neutralizzatrici degli strumenti sanzionatori». Di fatto, gli episodi descritti lo dimostrano. Uno Stato che si definisce liberale, può tollerare tutto ciò?