Poco meno di mezz’ora di fronte al gip Paola Faggioni, per un interrogatorio di garanzia che di fatto non ha avuto luogo. Il governatore della Liguria Giovanni Toti, attualmente sospeso dalla carica in seguito all’ordinanza che lo ha posto agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione e voto di scambio, si è infatti avvalso della facoltà di non rispondere, assistito dall’avvocato Stefano Savi. Una scelta che, ha spiegato il legale, non muove dall’intento di non collaborare.

Tantomeno da una volontà di ostacolare gli inquirenti. È dettata, ha chiarito Savi, semplicemente dal fatto che il fascicolo con le accuse a carico del governatore è giunto solo un giorno prima dell’interrogatorio sul tavolo del difensore, che ovviamente non ha potuto esaminarlo per intero e col dovuto approfondimento. Una circostanza, per inciso, non infrequente, che pone la difesa in una posizione difficoltosa già in partenza. Non a caso, Savi ha dichiarato di aver anticipato ai pm l’intenzione di chiedere l’interrogatorio la prossima settimana e di voler presentare successivamente istanza di revoca della misura cautelare.

«Ci sono esigenze di carattere personale», ha spiegato, «ma c’è anche l’esigenza di un confronto diretto col mondo della politica». Sul fronte giudiziario, anche ieri proprio su questo problema si sono concentrate le considerazioni di molti addetti ai lavori, tra cui gli avvocati penalisti, che attraverso una nota dell’Ucpi si sono lamentati di come le ordinanze cautelari continuino a essere pubblicate integralmente sui media, sbilanciando l’opinione pubblica, e condizionando indirettamente lo stesso giudice, a favore della tesi dell’accusa, con l’estrapolazione di intercettazioni ambientali o telefoniche talvolta avulse dal contesto.

Come già accaduto a inizio settimana, quando è stato emesso il provvedimento cautelare per Toti, a tenere banco ieri sono state le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio, il quale ha voluto sottolineare lo squilibrio che anche in quest’occasione si sta già producendo a favore della tesi accusatoria. Un punto cruciale che il ddl sulla separazione delle carriere, in arrivo sul tavolo del Consiglio dei ministri, dovrà affrontare, poiché alla base dell’atteggiamento remissivo che sovente i gip hanno per le richieste dei pm c’è anche la contiguità nel Csm e nei percorsi professionali.

«Mi sono già espresso sul caso Toti», ha detto il guardasigilli a margine del G7 della Giustizia che si è svolto a Venezia, «non tanto come ministro ma come magistrato: occorre avere sempre cautela e rispetto, attenderemo i risultati di un’eventuale impugnazione». Poi, la nuova stoccata al fronte giustizialista, che segue le critiche di qualche giorno fa ai pm per la scelta dei domiciliari relativamente a fatti di quattro anni fa: «Mi ha colpito», ha aggiunto il ministro, «che qualcuno si attende che sia l’indagato a dimostrare la propria innocenza: questa è una bestemmia, in una civiltà democratica. È l’accusatore che deve dimostrare la colpevolezza dell’indagato. Aspettiamo gli esiti di questa fisiologica dinamica del processo».

«Il governo», ha detto ancora Nordio, «si è dimostrato sempre garantista nei confronti di tutti. La nostra parola d’ordine è l’enfatizzazione della presunzione di innocenza. Io l’ho detto fin dal primo giorno, che il nostro garantismo è declinato in una enfatizzazione della presunzione di innocenza e poi in una certezza della pena».

Naturalmente le dichiarazioni del guardasigilli hanno contribuito a tenere caldo il fronte politico, dove anche nelle ultime ore è proseguita da una parte la polemica del centrodestra nei confronti di segmenti a suo avviso politicizzati della magistratura, e dall’altra le richieste di Pd e M5S di dimissioni del governatore. Su questo punto, il legale di Toti ha fatto sapere che si tratta di una questione squisitamente politica: «Ci sta pensando», ha detto Savi, «ma è una decisione che dovrà prendere confrontandosi con la maggioranza». Abbordando il merito delle accuse contestate al suo assistito, Savi ha ribadito che il governatore «rivendica di avere svolto una attività politica alla luce del sole e tutta tracciata. Non ha avuto un vantaggio personale, non c’è stato un uso privato».

Chi sostiene a chiare lettere che Toti non deve dimettersi è il leader leghista Matteo Salvini: «In Italia», ha detto, «si è innocenti fino a prova contraria. Che la magistratura faccia quello che deve fare, però se ogni indagato si deve dimettere l’Italia si ferma domani». Poi, il segretario del Carroccio ha rincarato la dose: «Vorrei sapere se ci fossero microspie negli uffici di qualche magistrato per quanto tempo continuerebbe a fare il suo mestiere». Salvini replicava anche ai leader di Pd e M5S che insistono per le dimissioni di Toti, e in particolare a Giuseppe Conte, che ha evocato l’arrivo di una «nuova Tangentopoli» e la necessità di una conseguente risposta giustizialista.