«Se tu sciogli organismi politici elettivi e questa decisione la fai prendere ad un organismo di governo è chiaro che la tentazione di sciogliere i tuoi avversari ci sta. Ma l’altro aspetto che stride è che teoricamente la ratio della legge è “liberarsi” degli amministratori collusi e fare in modo che si eleggano cittadini che non siano nella condizione di far infiltrare il Consiglio». Con queste parole, rilasciate al Dubbio qualche anno fa, Enzo Ciconte - uno dei massimi esperti del fenomeno ’ndranghetistico in Italia, nonché ex deputato Pci negli anni in cui la legge sullo scioglimento delle amministrazioni locali vedeva la luce - centrava al cuore le lacune più evidenti di una norma troppo “anziana” per rispondere ancora alle esigenze della realtà.

La legge sullo scioglimento dei Comuni - che oggi torna a far parlare di sé per l’invio della Commissione d’accesso agli atti al Comune di Bari, disposta dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi -, risale infatti al 1991. Si tratta di una misura di prevenzione straordinaria, concepita dopo una barbara strage del “venerdì nero” consumatasi a Taurianova, in provincia di Reggio Calabria. La norma si applica quando «emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori». Collegamenti tali da condizionare le amministrazioni e «determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali».

Il problema però è che l’iniziativa spetta a un organismo politico: il Viminale. È il ministro dell’Interno, infatti, a nominare la Commissione di indagine prefettizia sugli eventuali condizionamenti. Al termine degli accertamenti, che tengono in conto anche eventuali risultanze di indagini giudiziarie, il prefetto invia una relazione al Comitato provinciale per l’ordine pubblico e poi al ministro dell’Interno che dovrà decidere se procedere con lo scioglimento dell’amministrazione attraverso un decreto da sottoporre al Consiglio dei ministri o archiviare la pratica. Ma il problema più evidente è che si tratta di un atto caratterizzato da un’ampia discrezionalità: non servono prove o responsabilità penali accertate. Per giungere allo scioglimento è sufficiente constatare la possibile sussistenza di uno stato di soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata. E proprio per questo motivo il commissariamento non comporta un’automatica incandidabilità degli esponenti politici coinvolti, a meno che il tribunale civile non accerti addebiti individuali sulla cattiva gestione amministrativa.

Ma le problematicità di questa misura di prevenzione non risiede solo nella sua natura politica e discrezionale. A 33 anni di distanza dal suo concepimento si può tranquillamente affermare che la legge non ha prodotto i frutti per cui era stata pensata. Sono quasi 400 infatti le amministrazioni sciolte per mafia in tutti questi anni: il 90 per cento tra Calabria, Campania e Sicilia. Le sole province di Napoli e Reggio Calabria totalizzano il 37 per cento dei commissariamenti. Il paradosso è che molte delle amministrazioni coinvolte sono state sciolte più di una volta, a dimostrazione della scarsa efficacia del provvedimento.

Il solo Comune di Taurianova, per citare il caso da cui tutto ha avuto inizio, è stato commissariato per ben tre volte: nel 1991, nel 2009 e nel 2013. Come Taurianova sono decine Comuni italiani commissariati ripetutamente. La mafia, a guardare queste statistiche, non sembra affatto essere intimidita da questa legge. Anzi, sembra essere capace di infiltrarsi con qualsiasi maggioranza e di non soffrire davanti a nessun commissario. A essere umiliata e compromessa, con una legge dalle maglie così larghe, è la democrazia, semmai, e quell’idea che in fondo il voto dei cittadini conti relativamente poco, se un ministro può decidere di mettere nel mirino un’amministrazione. Per accertare eventuali responsabilità penali ci sarà tempo. Intanto basta un indizio per cancellare la volontà popolare.