REMO DANOVI

Il libro “Il diritto degli altri. Storia della deontologia” ( Giuffrè Francis Lefebvre) di Remo Danovi sarà presentato questa sera a Milano. Interverranno, oltre a Danovi, Umberto Ambrosoli, Angelo Ciancarella e Roberto Cociancich. L’autore è uno dei più importanti avvocati italiani, che ha rappresentato la professione forense ai massimi livelli. È stato presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano e del Cnf.

«Remo Danovi – evidenzia Antonio Padoa Schioppa nella prefazione - ha sempre ribadito che la deontologia deve intendersi come una disciplina giuridica, non come un insieme di suggerimenti di natura etica, privi dei caratteri propri del diritto. E tuttavia egli ha ben chiara la connessione delle regole deontologiche con un sostrato di principi di natura etica ( non a caso nelle Law Schools americane la deontologia è inclusa nell’insegnamento di Legal Ethics). Uno snodo cruciale nel quale questa duplice valenza si coglie molto bene, opportunamente richiamata a più riprese nei suoi scritti, sta là dove la normativa sancisce la “doppia fedeltà” che deve caratterizzare il comportamento dell’avvocato ( articolo 10 del Codice deontologico): la necessaria tutela dell’interesse dell’assistito e la necessaria contestuale considerazione del “rilievo costituzionale e sociale della difesa” implicano l’esistenza di un margine di valutazione — delicato, problematico, ma essenziale e denso di implicazioni anche etiche — sui modi, sui limiti e sulle scelte inerenti alla difesa stessa».

Avvocato Danovi, la deontologia si è adeguata ai cambiamenti che hanno riguardato la professione forense negli ultimi anni. È destinata ad evolversi ulteriormente?

Io credo che la deontologia abbia fatto un salto di qualità quando non è diventata soltanto una espressione etica della persona che applicava le regole, ma quando è diventata un dovere giuridico per tutti. Vale a dire quando, prima, il nostro codice deontologico e, poi, la nostra legge professionale hanno imposto un imperativo giuridico alle regole espresse. Il salto di qualità è avvenuto in quel momento. Tocca all’avvocatura individuare le condotte più precise e più rispondenti all’attualità per assicurare la conformità del modello di comportamento al raggiungimento della giustizia.

Parliamo di una materia che si pone in rapporto con il “diritto degli altri”. Si tratta di un aspetto che alcune volte si perde di vista e viene messo su un secondo piano? Oggi la deontologia forense trova la giusta attenzione?

Sotto questo profilo dobbiamo ancora approfondire molto i concetti. Quando parliamo di lealtà, indichiamo qualcosa di soggettivo, che rimane nell’ambito della persona che applica il comportamento che si manifesta all’esterno. Non è così. Faccio un esempio. La lealtà sportiva non protegge la persona che compie un determinato evento sportivo, ma protegge il suo avversario. L’avversario ha il diritto che il proprio concorrente sia leale. Ecco perché si colpisce la realtà con la privazione del successo. La privazione, dunque, non di un risultato personale, ma del risultato collettivo che favorisce gli altri. Faccio un altro esempio. Il decoro è una formula che si applica in tutti i contesti. La persona che deve rispettare il decoro, però, non lo fa per sé. Lo fa per rispetto verso gli altri. Gli altri hanno il diritto di avere un comportamento decoroso da parte del proprio antagonista o del proprio avversario. Nel termine professionale ciascuno di noi deve essere leale e decoroso non per sé stesso, ma in virtù del diritto che gli altri hanno nell’avere di fronte una persona leale. È questo il “diritto degli altri” che ho cercato di approfondire nel mio ultimo libro.

Lei rivolge attenzione al “difensore etico”, il difensore del bene comune. Chi è?

Dobbiamo avere chiaro il concetto che l’avvocato non è soltanto un professionista che si applica in un caso giudiziario, ma è una persona, un cittadino partecipe della comunità. Non a caso si impone non solo il rispetto dei doveri verso il cliente, ma il rispetto dei doveri verso l’ordinamento forense. È il concetto della doppia fedeltà: verso il cliente e verso l’ordinamento. Se così è, dobbiamo capire che l’avvocato non è più soltanto il difensore di una causa. È il difensore etico dei principi che promanano dall’ordinamento per assicurare la giustizia. Anche questo è un approfondimento maggiore rispetto alle tematiche normali per cui si relega la deontologia ad un atteggiamento interno, come se fosse una propria morale. Non è più così. Gli avvocati devono essere i difensori etici che applicano i principi della deontologia nel contesto generale in cui il professionista vive.

Senza deontologia le professioni stazionerebbero su fondamenta instabili per non dire pericolanti?

Le professioni stanno cercando un proprio assetto anche abbastanza dinamico, perché conforme ai tempi che chiedono nuove prospettive. Prendiamo come esempio la professione medica e quella dell’avvocato. La prima protegge la salute, la seconda protegge la giustizia. Entrambe richiedono un atteggiamento conforme ai modelli del tempo. Noi avvocati con fatica, lo dimostra pure il nostro ultimo congresso, cerchiamo di essere interpreti dei tempi in cui viviamo.

Diritti, doveri ed etica anche nella professione forense si devono muovere in un moto armonico?

Certamente. C’è una immedesimazione tra diritti e doveri. Il mio dovere è il corrispondente del diritto dell’altro, per cui io devo comportarmi in un determinato modo. In tal senso c’è sicuramente una coesione. La cosa che mi preme suggerire e raccomandare, perché è contenuta nel mio libro, riguarda l’esigenza di svincolare la deontologia dall’etica. La deontologia non è più tributaria di etica e morale, che sono valori confinati nell’animo delle persone. La deontologia ha un valore giuridico. Questa è la differenza sostanziale rispetto all’etica e alla morale. La deontologia si affranca nella professione dall’etica e dalla morale per dare un contributo giuridico a tutti i comportamenti che sono rispondenti alle regole deontologiche, alle regole fissate nei Codici professionali.