La Cassazione ha ordinato un nuovo processo d’appello per l'ex magistrato del Consiglio di Stato Nicola Russo, accusato di corruzione in atti giudiziari nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Roma su presunte sentenze 'pilotate'. I giudici della sesta sezione penale hanno accolto il ricorso della procura generale della Corte di Appello di Roma contro la sentenza che nel gennaio dello scorso anno aveva assolto Russo dalle accuse. Una sentenza che aveva ribaltato il verdetto di primo grado emesso dal tribunale capitolino nel settembre 2020 con il quale il magistrato era stato condannato a 11 anni di reclusione.

Russo era finito ai domiciliari nel 2019 nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Roma coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo sulle presunte sentenze 'pilotate' al Consiglio di Stato in cui un ruolo rilevante era arrivato dalle dichiarazioni di Amara e Calafiore. «In primo grado la responsabilità ascritta all'imputato è stata ancorata a tre diverse situazioni illecite, fortemente connesse tra loro e tutte ricondotte all'ipotesi di reato di cui all'art 319-ter del codice penale (corruzione in atti giudiziari, ndr.) - si legge nelle motivazioni della Cassazione - diversamente declinate, tuttavia, in ragione del differente contenuto in fatto delle vicende giudicate».

Invece «la Corte di appello ha escluso la possibilità di ritenere, oltre ogni ragionevole dubbio, sussistenti i fatti di corruzione, disattendendo le valutazioni rese dal Tribunale in relazione alla forza probatoria da ascrivere alle dichiarazioni di Amara, messe in discussione già con riguardo alla attendibilità soggettiva del chiamante ma negativamente valutate anche in relazione al contenuto oggettivo del relativo narrato nonché alla forza logica dei riscontri esterni valorizzati in primo grado a sostegno e conferma delle dette propalazioni».

Per i supremi giudici, la sentenza di Appello «non rassegna una descrizione puntuale del contenuto della decisione appellata nei suoi tratti fondanti. A ben vedere, infatti, si risolve unicamente nella disamina del narrato di Amara, estrapolato dal complessivo contesto nel quale lo stesso risulta inserito dal motivare della decisione appellata. Di contro, le vicende in fatto descritte dal composito argomentare steso in primo grado dal Tribunale all'esito della valutazione resa sull'altrettanto complesso impianto probatorio acquisito e scrutinato, non vengono emarginate con la dovuta attenzione, neppure in termini di adeguata sintesi espositiva - si sottolinea nelle motivazioni della Cassazione -. In altre parole, manca una ricostruzione dei fatti per come fotografata dalla decisione non condivisa, alla quale attagliare il giudizio di attendibilità soggettiva del chiamante e oggettiva del suo narrato. Di più. Anche con riferimento al tema della attendibilità del chiamante e del suo narrato, la Corte del merito ha finito per proprio dissenso rispetto alle conclusioni senza prima descrivere a monte il portato parte qua con la decisione appellata».