Le conversazioni captate dal trojan inoculato sul telefono dell’ex consigliere del Csm Luca Palamara sono state potenzialmente manipolate. Inoltre, essendo risultate non penalmente rivelanti e coinvolgendo un parlamentare andavano distrutte, senza considerare la “selezione” che ne è stata fatta, che le renderebbe inutili. C’è tutto questo nelle memorie depositate dall’ex parlamentare Cosimo Maria Ferri che, dopo la sentenza della Consulta che ha “annullato” il diniego della Camera all’utilizzo delle intercettazioni dell’Hotel Champagne da parte del Csm in sede disciplinare, si trova di nuovo al cospetto della giunta per le autorizzazioni, pronta a negare nuovamente a Palazzo dei Marescialli l’utilizzo di quelle conversazioni.

A proporre il “no” ai colleghi è il forzista Pietro Pittalis, che ha anticipato, ieri, la sua relazione, che verrà votata nei prossimi giorni. Il Csm non avrebbe, in primo luogo, fornito adeguata motivazione circa l'effettiva «necessità» di utilizzare le intercettazioni. Dalla stessa richiesta avanzata da Palazzo dei Marescialli, infatti, emerge come le incolpazioni si basino «anche su altri elementi di prova». Il che significa, spiega Pittalis, che quelle captazioni non rappresentano «una fonte probatoria assolutamente indefettibile nel procedimento in corso». In secondo luogo, nella richiesta del Csm «non sembra per nulla compiuto quel bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco auspicato dalla Consulta anche nell'ottica della leale collaborazione tra poteri».

La Sezione disciplinare, infatti, «sembra dare per scontato – in quanto sul punto non fornisce motivazione alcuna – che l'interesse sotteso alle esigenze investigative debba prevalere ipso iure sul quello al libero, integro e indipendente svolgimento del mandato parlamentare». Un’impostazione in contrasto con la giurisprudenza costituzionale, secondo cui non esistono valori “tiranni”. E il bilanciamento è reso ancora più urgente alla luce della «costante giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Ue», da ultima la sentenza del 7 settembre 2023, secondo la quale «solo la lotta alle forme gravi di criminalità e la prevenzione di minacce gravi alla sicurezza pubblica sono idonee a giustificare ingerenze gravi nei diritti fondamentali sanciti agli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, come quelle derivanti dalla conservazione dei dati relativi al traffico di comunicazioni dei cittadini».

Ma non finisce qui: sebbene i capi di incolpazione disciplinare riguardino solo la notte all’Hotel Champagne, la sezione disciplinare ha chiesto di utilizzare anche le captazioni ambientali avvenute molti giorni dopo quella notte, senza chiarirne i motivi, così come fatto per le conversazioni ritenute espressamente «non rilevanti», nonché di quelle in cui non si sente la voce di Ferri, «ma solo quella di altri personaggi di spicco del mondo giudiziario che partecipano a un evento conviviale».

Infine, il Csm ha inviato alla Camera solo alcuni progressivi e «su un arco temporale complessivo di 4 ore, 2 minuti e 44 secondi, durante il quale sono state effettuate le captazioni informatiche oggetto della richiesta, mancano 52 minuti e 3 secondi di registrazione in quanto tra un progressivo e quello successivo ( pur se formalmente continuativi) intercorre sempre un lasso temporale ( talvolta di qualche decina di secondi, talaltra di qualche minuto) in cui la registrazione delle comunicazioni è interrotta, o quantomeno non è stata trasmessa alla Camera». Tutti motivi validi, secondo Pittalis, per dire di nuovo no al Csm.

A confortare tale orientamento due relazioni depositate dall’avvocato Luigi Antonio Paolo Panella, difensore di Ferri, che entrano nel dettaglio delle anomalie relative al trojan che portò alla radiazione di Palamara dalla magistratura. Innanzitutto, sottolinea la difesa, il Csm, prima di chiedere l’autorizzazione alla Camera, avrebbe dovuto verificare autonomamente «la liceità e l’utilizzabilità di tali captazioni», date le «gravi anomalie riscontrate con riferimento alle medesime e oggetto, allo stato, di indagini da parte delle procure della Repubblica di Napoli e di Firenze». Cosa che non è stata fatta, nonostante gli accertamenti finora effettuati avrebbero fatto emergere come tali captazioni siano avvenute «in modo completamente illegittimo».

Per essere utilizzabili, ai sensi dell’articolo 268 comma 3 del codice di procedura penale, è necessario che vengano utilizzati esclusivamente gli impianti installati nella procura della Repubblica autorizzata, nel caso di specie quella di Roma. I dati del caso Palamara finivano, però, in due server situati a Napoli, mai autorizzati da alcuna autorità giudiziaria e controllati esclusivamente da Rcs, la società privata fornitrice del trojan. «Una grave minaccia alla democrazia», ha segnalato Panella, dal momento che anche Duilio Bianchi, ingegnere della Rcs, ha ammesso che quei server hanno, di fatto, «gestito e registrato le captazioni effettuate dal trojan inoculato nel telefono» di Palamara. Ed è stato ancora Bianchi ad ammettere che ciò che “entrava” sul server napoletano era differente da ciò che ' usciva'. Il che significa che c’è la possibilità tecnica di «accesso, copia e modifica dei dati da parte di soggetti privati su server da loro gestiti, non autorizzati e mantenuti fino ad oggi “occulti”, i quali “ricostruivano” i dati originali captati e poi li cancellavano, senza alcuna possibilità di successiva verifica e controllo».