PHOTO
«Intercettiamone uno, intimidiamo tutti gli altri». Con queste parole, un paio di anni fa, la Camera penale di Roma reagiva all’ennesimo caso di intercettazione a carico di un avvocato. Casi non isolati, che negli anni hanno riempito le pagine di questo giornale, come testimonianze di una pratica non consentita, ma comunque tollerata, dal momento che di conseguenze non ce ne sono.
Le norme, allo stato attuale, prevedono il divieto di trascrizione, anche sommaria, di queste comunicazioni. Un passettino in avanti rispetto alla norma precedente, che ne vietava il solo utilizzo, che però non impedisce comunque di ascoltare e, dunque, scoprire la strategia difensiva, con buona pace del diritto di difesa.
Tra i casi raccontati dal Dubbio c’è quello di Roberta Boccadamo, del foro di Roma, che leggendo l’ordinanza del gip di Genova con le motivazioni della misura cautelare emessa nei confronti dei vertici di Atlantia nell’inchiesta legata al crollo del Ponte Morandi, si è imbattuta in una conversazione tra lei e Antonino Galatà, ex Ad di Spea, incaricata da Aspi della sorveglianza e manutenzione della rete autostradale in concessione, suo assistito.
Conversazione non solo registrata, dunque, ma anche trascritta e utilizzata da un giudice. E a permettere tale “svista” una giustificazione che però non corrisponde al vero: Boccadamo venne infatti indicata come compagna di Galatà. Ma non si tratta dell’unico caso. Nicola Canestrini, del foro di Rovereto, ha portato il suo caso davanti alla Cedu, denunciando una lesione del diritto di difesa. Il legale infatti, ha ritrovato nei brogliacci allegati alle informative contenute nei fascicoli di un’indagine alcune intercettazioni intrattenute con il proprio assistito, in quel momento detenuto a 200 chilometri dal suo ufficio.
Prima di loro era toccato ad altri: tra gli episodi noti vi sono quello relativo a Francesco Mazza, avvocato del foro di Roma, che nel 2019 si è ritrovato citato in un’informativa di cui era entrato in possesso dopo la notifica della chiusura delle indagini preliminari a carico di tre suoi assistiti, indagati nell’ambito della vasta operazione anti usura condotta dai carabinieri di Roma Eur e denominata “Under Pressure”. Per ben due volte la polizia giudiziaria ha appuntato dettagli di conversazioni tra lui e uno dei tre assistiti, il cui telefono era sotto controllo da un po’ di tempo. In un caso l’avvocato ha trovato trascritta per filo e per segno tutta la conversazione. Nel secondo, invece, soltanto un sunto.
Ad Asti, sempre nel 2019, l’intera classe forense si era mobilitata gridando allo scandalo, quando Roberto Caranzano, avvocato astigiano, si ritrovò allegato al fascicolo di un processo per spaccio di droga il “foglio notizie” con le spese del procedimento penale, 27 pagine contenenti il nome di decine di colleghi di Asti, Torino e Cuneo, consulenti e giudici onorari, per una spesa totale di 559.221 euro. Un grosso malinteso, si affrettò a spiegare la procura di Asti, che parlò di «errore del sistema informatico».
Nelle cuffie dei finanzieri di Locri sono finite anche le voci dei difensori dell’ex sindaco di Riace Domenico Lucano, intercettato mentre era al telefono con gli avvocati Antonio Mazzone (scomparso a dicembre 2020 e sostituito dall’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia) e Andrea Daqua. La cimice piazzata a Palazzo Pinnarò registrò l’ex sindaco e Daqua, a cui si era rivolto dopo le ispezioni che hanno dato il là all’indagine che lo ha fatto finire a processo. E quel dialogo, anziché essere cestinato, venne trascritto nell’informativa finale dell’inchiesta “Xenia”. I due, in quel momento, discutevano di possibili strategie difensive, in vista di un’ormai più che scontata indagine.
Nello stesso periodo, i dialoghi di quattro avvocati sono finiti nelle quasi 30mila pagine di un'indagine avviata dalla procura di Trapani nel 2016, con lo scopo di fare luce sull'attività delle ong attive in mare per soccorrere i naufraghi che cercavano di raggiungere le coste europee. Si tratta di Alessandra Ballerini, Michele Calantropo, Fulvio Vassallo e Serena Romano. E quale fosse il loro ruolo era noto anche alla polizia giudiziaria, che nell’appuntare i loro nomi li ha definiti avvocati per i diritti umani. Una violazione dell’articolo 103 del codice di procedura penale, che dispone che i colloqui tra difensore e indagato non solo non siano utilizzabili, ma non possano nemmeno essere intercettati. E nonostante gli esposti al Csm e alla procura generale della Corte di Cassazione, nessuno sembra rispondere mai di tali violazioni.